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21 ago 2011

PARTE TERZA: RITORNO NELLA TERRA DI MAO

UNA DONNA FELICE
“Hai mai studiato la grammatica?” chiese un saggio a un barcaiolo, l’altro rispose di no, “Allora hai perduto metà della tua vita!” disse il saggio. Poco dopo il vento spinse la barca in un vortice e il barcaiolo gridò al grammatico: “Sai nuotare?”, “No, il nuoto non è affar mio!” rispose il grammatico, “Allora tutta la tua vita è perduta” replicò l’altro! E la barca affondò.
MASSIMA CINESE

Primo Dicembre 2002.
Il Boeing 747 si libra nell’aria per lasciare l’aeroporto di Roma Fiumicino e dirigersi verso Beijing, mentre allaccio la cintura di sicurezza non provo più la stessa inquietudine di due anni fa, ma solo una forte euforia: presto sarò di nuovo nella mia seconda patria! Beh a dir il vero un senso d’inquietudine soggiorna nel mio cuore anche questa volta: per due mesi non portò vedere il mio moroso italiano con cui sono fidanzata da gennaio 2001.
Dopo una decina d’ore con stravaccato accanto un omone cinese che alterna fiumi di birra a sonore russate, l’altoparlante chiede di sedere ai posti ed attendere, le condizioni meteorologiche non consentono l’atterraggio a Beijing. Sorvolata la città per un’ora, il solito capitano comunica l’unica alternativa: atterrare a Shanghai e far rifornimento nella speranza che la nebbia si diradi sulla Capitale.
Panico, oltre non vedere l’ora di mettere piede a terra, non posso avvertire la mamma; comunque, pur con ritardo di sei ore, finalmente atterriamo a Beijing.
L’aeroporto è come l’ho lasciato due anni fa: immenso, moderno, semplice e pulito.
Frastornata dal viaggio faccio mezz’ora di coda per il controllo passaporti, poi arriva il mio turno, non so perché sono tesa, ma il filiforme poliziotto, stampando il timbro d’ingresso e sfoderando un sorriso gioviale, mi rincuora: “Yidaliren, Italiana, ah così sai parlare cinese… mi piace l’Italia per la pasta, Pavarotti, la Juventus e le belle ragazze come te…!”.
Tiro un sospiro di sollievo e ritirata la valigia mi dirigo verso l’uscita. Come di consueto vedendomi  laowai, decine d’autisti privati m’assalgono domandando “Baby, taxi?”, ma un bu yong, xiexie (no grazie) è sufficiente per farmi strada e raggiungere la stazione dei taxi ufficiali.
Non ci posso credere, sono di nuovo in paradiso… stringo i pugni e penso alla canzone “heaven is a place on earth” di Belinda Carlisle (“il paradiso è un posto sulla terra”). Pur sfinita discorro col tassista che con la cordialità tipica dei pechinesi commenta l’eccezionalità della nebbia. In effetti la visibilità è di pochi metri ed all’ultimo emergono dalla coltre lattiginosa bici e uomini che sembrano spettri dell’aldilà. Dopo il solito interrogatorio ed essersi complimentato per il mio cinese, il tassista spiega che il vento del deserto del Gobi d’inverno addensa la nebbia ed in primavera trasporta la sabbia; poi, domandandomi che cosa m’abbia indotto a studiare il mandarino, mi fa venire in mente alcune righe d’un libro: “da bambina, prima di capire che il suo destino era in Cina, quando sapeva soltanto d’aver bisogno d’un mondo diverso nel quale fuggire, aveva inventato un linguaggio privato per il diario, quello per lei era il primo biglietto per la fuga; in seguito andò all’Università dove scoprì che il cinese era molto meglio, una porta aperta su un’altra identità, tanto che era diventata un’altra persona, diversa da quella dell’infanzia, capace, libera di muoversi, indipendente…”
Il tassista mi riporta alla realtà raccontandomi tutta la sua vita e mostrandomi la foto del figlio già alto un metro e settanta a soli quattordici anni e della moglie più giovane di lui di dieci anni… Ma in tutta sincerità ora non ho la benchè minima intenzione di “fare lezione di cinese”, quindi come spesso succede mi rifugio nel mio magico mondo lollipolliano (uno dei miei cento soprannomi è Lollipolli) e guardo fuori dal finestrino per capire se qualcosa è cambiato. Direi proprio di sì: sbirciando nella nebbia noto subito che ci sono ancora molti taxi e biciclette, ma le auto private ed i motorini sono più numerosi, segnale che Beijing si sta arricchendo.
Immutata è invece la maniera di condurre l’auto, tutti inchiodano all’improvviso, suonano il clacson, tirano il freno a mano ad ogni semaforo e scalano le marce facendole grattare; poi, negli squarci di visibilità, mi rendo conto che la città continua ad essere un immenso cantiere.
Dunque, continua la Nuova Cina iniziata da Deng Xiaoping e proseguita dall’attale Presidente Jiang Zemin, dimentichi della vecchia Cina di Mao, povera e rurale. Se il motto maoista era “dobbiamo essere uguali nella libertà”, oggi la parola d’ordine è “far fortuna e creare ricchezza per la crescita del Paese”.
Ma quando varco le mura che circondano il Campus, tali pensieri vengono spazzati via dal riemergere impetuoso del “gusto” di quell’anno qui trascorso ed ancora indecisa se sogno o son desta trascino la gigantesca valigia fino all’ufficio d’ammissione per studenti stranieri dove una signora m’affida una stanza nel dormitorio numero due. Non trattengo una smorfia perché essendo il più economico (tre dollari al giorno) è anche il meno equipaggiato, con stanze spoglie, senza televisore né telefono e servizi igienici comuni.
Poi il simpatico modo di fare del custode del dormitorio mi riporta serenità, durante il tragitto alla “cella” ironizza sul mio Paese: “ah Milano, la capitale grande e famosa in tutto il mondo per la moda, sai noi siamo artisti nel copiare i vostri capi Almani e Plada, ma non riusciamo ad imitare i vostri calciatori e le donne, come fate ad essere tutte così piaoliang (belle)?” Imbarazzata evito di ricordare che la capitale è Roma e non Milano…!
Ecco siamo arrivati, spalanco la porta e mi trovo davanti una polverosa gabbietta a due letti (pagherò sei dollari al giorno, non voglio nessuna compagna di stanza), ma come fare senza telefono e televisore? Con quell’atteggiamento filosofico con cui i Cinesi superano i problemi, il giovane ragazzo, catalogandomi come una forestiera viziata, dice: “comprati un telefono per una trentina dikuai al supermercato ed al televisore ci penso io”.
Detto fatto, un paio d’ore dopo la stanza è vivibile, tiro a lucido il pavimento e sostituisco le lenzuola con altre migliori acquistate al supermercato; non è una reggia, ma per due mesi va più che bene e poi sono in paradiso, cosa importa se il letto è duro, gli armadi sembrano cadere e spifferi da polo nord penetrano dalla finestra?! Già, passi tutto… ma i servizi igienici cinesi sono davvero un covo di micobri inavvicinabile, consistono in buchi nel pavimento in cui non si può gettare la carta pena l’intasamento, ragione per cui l’odore dei cestini della carta usata è tanto intenso da colpire lo stomaco come il pugno d’un pugile. Ebbene, cara Cina ti stai evolvendo rapidamente, ma ahimè su certi aspetti rimani ancora medioevale.
Seppure ridotta ad una larva per il jet-lag, rianimata la “cella”, l’euforia prende il sopravvento e faccio un giro nel Campus.
In questi due anni hanno costruito un campo d’atletica ed un centro sportivo con spogliatoi (prima ci si cambiava nelle toilette), campi da tennis, pallacanestro, calcetto e sale da ping-pong, lo sport in cui i Cinesi sono campioni del mondo.
Arrivo al supermercato dove ho la sensazione d’esserci stata il giorno prima, come per magia sembra che quelle inservienti che parlottano tra loro non si siano mai mosse, ma due anni sono trascorsi ed un vero passo verso il progresso è stato fatto…. i prezzi sono aumentati sensibilmente, ma in cambio non si deve più pagare ogni articolo nel reparto specifico, bensì alla cassa centrale.
Come se mi avessero appena iniettato un’abbondante dose di adrenalina, inizio a camminare per i dintorni del Campus fino a tarda notte e noto con piacere che le guardie sono ancora presenti ovunque, attente ma senza creare imbarazzo controllano l’entrata di musei, teatri, negozi, ristoranti, toilette, metropolitane, cinema, uffici postali ed addirittura discoteche, dove i buttafuori sono rimpiazzati direttamente dai poliziotti!
Poi, la pena di morte per semplici rapine e l’assenza di facce losche contribuiscono a rendere Beijing una città sicura, anche se qualcuno segnala il pericolo potenziale della “popolazione fluttuante”: si tratta di persone che hanno abbandonato illegalmente i luoghi d’origine o destinazione obbligata e si sono trasferiti nelle grandi metropoli per far fortuna, ma senza regolare registrazione anagrafica non hanno appartamento, assistenza sanitaria e lavoro forniti dallo Stato.
Comunque, anche se Beijing non è il Bronx newyorkese, un po’ di prudenza non guasta mai perché i malintenzionati purtroppo ci sono anche qui. Tutto sommato comunque, Beijing è ideale per giovani che vogliono fare un’esperienza universitaria studiando il cinese, senza i pericoli delle nostre città come droga, delinquenza generica ed “incidenti del sabato sera”.
Ribadisco il concetto heaven is a place on earth


ORA SO CHE CI FACCIO QUI!
Preferisco essere io stesso il mio servo. Se devo fare qualche cosa, mi servo del mio corpo. A volte ciò è fastidioso, ma è più facile che ottenere obbedienza dagli altri. Se ho bisogno di camminare, cammino, questo mi affatica, ma meno che pensare a cavalli e selle, a buoi e carrozze.  Divido il mio corpo in due parti: le mani fungono da servitore, i piedi da veicolo e sono docili oltre ogni dire. Il mio cuore, conoscendo ciò che il mio corpo può sopportare, lo lascia riposare quando è stanco e lo adopera quando è ristorato. Anche quando si serve di esso non ne abusa, ma neppure lo lascia appesantirsi. D’altronde, giova alla salute camminare e muoversi. Perché dunque perseverare in una pigrizia inutile?
MASSIMA TAOISTA

Frastornata dal fuso orario e dal cambiamento di clima (dieci gradi in meno rispetto a Torino), la notte dormo poco e la mattina mi desto di buon’ora col proposito di riscoprire la città.
Parto dal quartiere della mia Università, il distretto Haidian, riscontrando che il cambiamento è stato tanto marcato da rendere irriconoscibili alcune zone; è il caso del moderno centro commerciale che oggi sorge al posto del precedente wudaokou, un mercato tradizionale dove si vendeva di tutto a prezzi stracciati.
Il traffico permane snervante e complicato dalle migliaia di biciclette; questi ciclisti sono sempre pazzi, compiono disinvolte acrobazie nel traffico, si buttano negli ingorghi, attraversano col rosso, invadono i marciapiedi e zigzagando causano l’ottanta per cento degli incidenti. Insomma, anche se leggermente ridotto permane l’oceano di biciclette e tricicli, ma è un bene che questo putiferio di ruote ecologiche non sia stato ancora sostituito del tutto dalle automobili… la città è già così una delle più inquinate del pianeta!
Non in sella ad una bici, ma su un comodo taxi, mi dirigo verso Tiananmen.
Quanto mi sei mancata faccetta di Mao! Mentre sono in coda al Tuo Mausoleo, osservo la commovente devozione con cui i presenti si apprestano a farti visita, in realtà una rapida occhiata alla salma imbalsamata e qualche istante per deporre frutta e fiori come ad una divinità! L’immagine di Mao, come quella di alcune divinità, è rappresentata in un solo modo, quella d’un vecchietto in casacca blu dalla faccia onesta e con un neo sul mento; insomma, un anziano padre dallo sguardo bonario ed un saggio consigliere, ma anche il gran uomo che da coltivatore di riso è diventato leader della Rivoluzione Culturale e spedì gli intellettuali a lavorare nei campi.
Proseguo il mio vagare verso la Porta della Pace Celeste, dalla cui sommità godo la magnifica vista della piazza. Per passare la Porta i visitatori vengono sottoposti ad un attento esame di sicurezza, noi donne sulla destra di un lungo corridoio e gli uomini a sinistra, tutti devono posare le borse nei guardaroba e passare attraverso un rilevatore di metalli.
Continuo a passare le varie porte che si susseguono fino alla Porta del Meriggio, attraverso cui s’entra finalmente nella Città Proibita. Ogni volta che la visito è come fosse la prima e qualcosa di nuovo attira sempre la mia attenzione; per esempio questa volta stupisco notando lo stato decadente in cui l’intero museo si trova: intonaco che cade sia all’interno che all’esterno ed un acre odore di muffa che prende alla gola, soprattutto dentro le impolverate dimore private imperiali. Vivian spiegherà che lo Stato non ha più fondi per sostenere le spese di manutenzione, inutilmente sta elaborando strategie di risanamento quali aumentare il biglietto d’ingresso fino a sessanta kuai… ma anche se i visitatori sono centinaia al giorno, ciò non basta!
Anch’io, nel mio piccolo contribuisco a tale fine affittando le cuffie per ascoltare quanto ancora non so; scopro che ogni edificio è interamente in legno verniciato di lacca rossa simbolo di forza e che il fuoco rappresenta quindi una minaccia per l’intero complesso, osservo poi i due dragoni posti alle estremità dei tetti che guardandosi l’un l’altro si dice scaccino i fulmini (teoria poco efficace se hanno aggiunto dei parafulmini veri e propri) ed infine la voce prigioniera nell’audiocassetta m’invita a notare la grossa palla che penzola dal soffitto nella sala del trono che si dice sarebbe caduta in testa all’Imperatore non degno d’essere un Tianzi (Figlio del Cielo)… non è mai caduta!
All’uscita dalla Citta Proibita, entro nel Parco Beihai dove stranamente non ci sono stranieri, ma solo io, persa in un mondo di uomini gialli che mi sorridono o scrutano corrugando le ciglia.
Mentre torno a casa, in autobus per risparmiare, medito sulla quantità di Cinesi che dispone di tempo libero per visitare parchi per esercitare il taiqi e giocare a scacchi o a mah-jong. Saranno tutti pensionati o in viaggio premio? Qualcosa mi sfugge, pensavo che in Cina lavorassero tutti sino alla morte trecentosessanta giorni l’anno!


IN ATTESA DELL’INIZIO DELLA SCUOLA
Una notte d’inverno due sconosciuti litigavano sotto le finestre d’una casa e la disputa stava per trasformarsi in rissa. Cedendo alle insistenza della moglie, il padrone di casa si avvolse in una coperta e scese per calmare i contendenti. Questi, dopo avergli strappato la coperta, se la diedero a gambe. La moglie, che dal letto si compiaceva perché il marito aveva fatto cessare la contesa, gli chiese perché mai litigassero. E il marito con noncuranza: “Oh niente, litigavano per la mia coperta!”.
STORIELLA CINESE

In attesa dell’inizio della scuola, vago solitaria per la città, assaporando il meraviglioso senso di libertà che pervade il mio cuore.
Alterno visite culturali a giornate “d’esplorazione” a WangfujingHongqiao ed al caotico mercato della seta dove, come a Qingdao, studenti cinesi che masticano l’inglese sperano d’attaccare discorso per far pratica e finire con la solita foto ricordo. Due anni fa mi prestavo, ora rispondo in cinese di non conoscere altre lingue, a parte l’italiano.
Ma camminare beatamente per Beijing risulta impossibile anche per l’assordante confusione che devasta le strade, in particolare nella zona di Qianmen dove è lotta all’ultimo sangue per far entrare clienti nel proprio negozio. La sfida consiste nell’urlare più forte degli altri “peng you lai lai… amico entra, tutto a dieci kuai“, questo mestiere è affidato a fantasiosi ragazzini che abbinano alle urla applausi e balletti; rincara il chiasso spaccando i timpani la musica a livelli paranormali che proviene dall’interno dei negozi, lo dice una abituata alle discoteche…!
Gridare per strada piuttosto che al telefono è un’abitudine che diventa più fastidiosa se si mette in conto che la parlata cinese non ha il suono dolce dell’italiano o del francese; ad esempio “qing zuo“, che ha un suono duro e potrebbe sembrare un insulto, traduce invece “prego s’accomodi”.
Col tempo ci si abitua agli strilli e pure… agli odori che imperlano la città. Gli acri aromi provengono dalla miriade di schifezze che si mangiano per strada: oltre i citati spiedini di scorpione, topo o chuanshanjia (pangolino, mammifero simile all’armadillo), sono popolari le patate dolci al forno, le crèpes di farina di miglio cotte s’una piastra incandescente con salsa piccante, i tanghulu ovvero spiedini di frutta fritta e caramellata. Tra tutte queste “bontà” da strada, l’unica di cui faccio scorpacciate è il pane arabo sfornato fresco nei barbecue musulmani e servito dai Cinesi Uiguri … con mani sporche da far pensare alle cose più repellenti!
Seppure abbia già vissuto a Beijing nove mesi, mi sono sfuggite molte attrazioni, quindi è il momento d’esplorare ogni angolo tralasciato, per esempio il Museo della Storia e Rivoluzione Cinese, il tetro edificio sul lato orientale della Piazza Tiananmen di fronte al Palazzo dell’Assemblea del Popolo.
Per non trovare traffico decido di mettermi in viaggio di buon’ora, fermo un taxi ed anche se sono sveglia da poco discuto con il conducente sulle future Olimpiadi.
Con tono serio ma sarcastico domando: “in vista delle Olimpiadi del 2008 non crede sarebbe meglio che almeno i tassisti ed i ristoratori imparassero qualche parola d’inglese?” “dui dui, giusto, ma l’inglese è troppo difficile per noi…”, forse pensa che il cinese sia per noi più facile…?!
Silenzio, arrivo di fronte al Museo ma una guardia ordina d’allontanarmi e seccato aggiunge: “ora il Museo è chiuso, riaprirà nel pomeriggo, al momento è in corso una riunione cui partecipano importanti politici cinesi”.
Nonostante questo contrattempo non desisto, dopo tutto sono a Beijing e questo basta per rendermi felice. Dopo aver dato un ultimo sguardo a Tiananmen, fermo un taxi e vado a visitare la casa dove visse Song Qingling (29-05-1981), seconda moglie di Sun Yat-sen (fondatore della Repubblica Cinese di cui già visitai l’abitazione a Shanghai due anni fa). Fortunatamente i cancelli sono aperti ed inizio il tour. Dalla quantità di libri deduco si trattasse d’una persona colta, d’altra parte fondò la nota rivista cinese in lingua inglese “China Today”. Visitare le dimore di personaggi celebri risveglia in me grande interesse e sono dell’idea che per capire una persona occorra immaginarsela nella propria intimità, in cucina dove consumava i pasti, nella stanza da letto…

Le giornate si susseguono troppo rapide, ogni giorno mi reco in città per esplorare zone nuove, come templi e parchi dove le persone si recano quotidianamente e gli anziani praticano il taiqi.
Vivo l’esperienza più interessante tra le mura del Tempio del Cielo dove stupisco non solo davanti allo splendore delle costruzioni d’un tempo, ma osservando le attuali abitudini dei Cinesi.
Come ho potuto due anni fa dedicarmi all’architettura senza prestare attenzione ai vecchietti che praticano il taiqi e giocano a volano od alle signore che camminando senza meta cantando ad alta voce le arie dell’Opera di Beijing, mentre altre fanno piegamenti e le più buffe camminano torcendo il busto all’indietro, “…è un ottimo rimedio ai dolori reumatici della schiena” spiega una delle tante vispe anziane che riescono a mantenersi in ottima forma fino a tarda età. Alcuni scrivono vere e proprie poesie per terra con un pennello imbevuto d’acqua, creano labili opere d’arte leggibili per qualche minuto finché evaporano, lasciando spazio a nuove composizioni. Altri passano il tempo seduti sulle panche all’interno del giardino, giocano a carte, domino, majhong o ammirano semplicemente il paesaggio.
Alcune donne lavorano a maglia producendo splendidi cappellini di lana ricamati con motivi floreali.
Decido di sedermi accanto a questo gruppo di signore munite d’uncinetto e lana che, mostrandomi i loro lavori, domandano perché sono sola; una di loro spiega che è raro vedere stranieri solitari per due ragioni: problemi di lingua e paura dei Cinesi. Un’altra, con parlata lenta e gestuale, pensa l’esatto contrario, “ma no, siamo noi Cinesi a temere voi laowai!”.
Come capita, la discussione attira una piccola folla, decido dunque di porre termine all’assembramento e mi dirigo alla vicinaLiulichang, via degli antiquari, che trovo abbellita, ma con prezzi saliti vertiginosamente. Entro in una delle piccole botteghe, curioso tra tele dipinte, cestini di bambù, statuette d’animali portafortuna e guardando il Milofo, una statuina del Buddha ridente che porta fortuna se gli si tocca la pancia bella rotonda, mi domando come facesse un monaco ad essere così grasso pur mangiando solo frutta e riso!
Con piacere chiacchiero con il proprietario d’una bottega che m’invita ad entrare nel retro del negozio per visitare gli studi dove lavorano gli artisti; riscuoto tanto successo che uno di loro mi chiede di posare per una fotografia, la vuole scattare di fronte all’ultimo dipinto.
Un episodio curioso lo vivo all’interno di un’altra bottega dove, dopo qualche secondo di taojiahuanjia (trattativa) s’un elefante con la proboscide abbassata, sono circondata da una folla che stupisce… per abbassare il prezzo dico che in Occidente solo quelli con la proboscide alzata portano fortuna!
Divertita, continuo a vagare per queste botteghe che, pur ricostruite per turisti, restano luoghi interessanti con esposizioni d’oggetti legati al passato.
Entro in un negozio che vende dipinti su seta ed una varietà di vasi in giada, avorio, argilla, ma l’attenzione è rapita da un piccolo Dio della Longevità (Laoshouxing) in porcellana con fronte pronunciata, barba bianca, sopraciglia lunghe, naso grosso, bocca squadrata con labbra spesse e tre buchi in ognuna delle orecchie. Secondo la leggenda, Laoshouxing fu un uomo che all’età di 767 anni non mostrava segni d’anzianità e quando raggiunse gli ottocento si lamentò di non aver vissuto abbastanza; la commessa mi consiglia di regalarlo in occasione d’un compleanno, esclamando: “è un prezioso augurio di lunga vita”.
Lungo la strada mi soffermo davanti ad una donna che muove le forbici con maestria bucherellando e piegando un piccolo foglio rosso fino a farlo diventare uno splendido cigno, “appendilo nella tua stanza, è uno jianzhi (immagine di carta raffigurante animali o caratteri)”. Comprerei queste cineserie, ma come al solito non acquisto nulla perché sono oggetti inutili ed a volte anche di dubbia bellezza!
Un’altra commessa mi viene incontro e con leggero tono nostalgico dice: “mio padre morì parecchi anni fa, questa parte del negozio era sua, ora ci lavoro io e vendo le sue cose, fu un grande burattinaio e nel tempo libero si divertiva a creare marionette a mano, guarda che belle”. Così, rovistando tra scatoloni impolverati, mostra splendide marionette a forma di guanto (mu’ouxi) ed immagini usate al teatro delle ombre cinesi (pinyinxi). “Sono le migliori del Paese, mio padre fu un artista, ti faccio un buon prezzo”. No, non ho intenzione di spendere (forse non compresi il valore di quelle marionette….!). Voglio solo parlare ancora un po’ con questa giovane donna per sapere qualcosa di più sulle ombre cinesi, oltre il fatto che sono giunte in Europa nel diciottesimo secolo, grazie ad un gruppo di missionari francesi che si erano recati in Cina. Come leggesse nella mia mente, la ragazza racconta la leggenda di Wudi: “l’Imperatore Wudi (156-87 a.c.) era straziato dal dolore per la morte della sua concubina preferita; per consolarlo, un abile servitore levigò un tronco in modo che, mosso dietro un tenda, paresse la sua amata. Così nacquero i pinyinxi!”.
Pur incuriosita dalla storia, rimango irremovibile negli acquisti, ma la giovane non sembra demordere, evidentemente le fa piacere parlare con qualcuno per tessere le lodi del padre defunto. Un bagliore di luce le illumina il volto quando mostra splendidi aquiloni di seta e carta esclamando: “non dirmi che non compri neanche questi? Guarda, questo raffigura un pino, simbolo di longevità, quest’altro un pipistrello, augurio di buona fortuna”.
Poi, entusiasta ed assumendo quel tono saputello che tanto amo di questo popolo, dice che gli aquiloni sono parte della storia della Cina, furono i primi aerei costruiti dall’uomo e nell’antichità, quando erano più resistenti e di maggiori dimensioni, avevano addirittura scopi bellici: i soldati li cavalcavano per vedere dall’alto i movimenti nemici. Sempre più soddisfatta dall’interessamento alle sue parole cita una frase del padre già ripetuta dal nonno: “quando sei triste o desideri ardentemente una cosa, corri dietro un aquilone e lascialo libero nel cielo, i tuoi sogni si avvereranno”.


CREDERE O NON CREDERE, QUESTO E’ IL PROBLEMA
La Cina è come una stanza dai muri invisibili contro i quali può capitare di sbattere la testa. Vince l’uomo che è disposto a lottare contro questi muri e a battervi la testa senza curarsi del dolore.
MASSIMA CINESE

I Templi Buddisti e Taoisti, m’affascinano per la quiete in cui sono immersi. Come nelle nostre Chiese, anche qui sono in pace con me stessa e parte di un’altra realtà, lontana dalle frenetiche strade pechinesi e dai problemi del mondo, mi sento protetta dalle grandi statue che a differenza del nostro Cristo dolente, sorridono. Fra queste prediligo il gioioso Buddha Maitreya, il più conosciuto e parte della Triade delle tre età: il Buddha Sakyamuni che sta entrando nel Nirvana per il presente, il Buddha Kasyapa per il passato e il Buddha Maitreya per il futuro. Seguono poi i bodhisattva, esseri che hanno già raggiunto la perfezione, ma rimangono nel mondo per aiutare quanti percorrono l’arduo cammino della vita.
Centinaia sono i Templi nella Capitale e migliaia nel Regno di Mezzo, ma il mio preferito rimane il Tempio Lama: sarà lo stile composito (Mongolo, Tibetano e Han), le splendide statue rappresentanti divinità fra cui il celebre Buddha alto diciotto metri, il fumo che sale in spirali dalle lampade a grasso che ricordano il Tibet, i bonzi rasati con tuniche marroni e cinture rosse…  sarà tutto l’insieme, ma qui ho l’impressione d’entrare in un’altra dimensione ed il rammarico di non condividere ciò con una persona cara è forte. Peridipiù non riesco a scattare neppure una foto perché nelle sale, rigorosamente controllate dai bonzi, regna sovrano un cartello: “vietato accendere incensi, fumare e fotografare”; personalmente, ordinerei anche di spegnere i cellulari!
Nel Tempio Taoista della Nuvola Bianca, ur senza nulla di particolare, osservo interessata i credenti che accendono mazzette d’incensi colorati, pregano in ginocchio e s’accasciano per tre volte davanti a divinità particolari; lascia perplessi il modo con cui oscillano le mani giunte in avanti ed indietro, alternando movimenti dall’alto verso il basso, oltre la strana usanza d’offrire alle divinità (o ai monaci che le custodiscono) denaro, biscotti, banane, mele e fragole.
La Cina, così diversa, spesso porta a meditazioni senza chiarezza finale, perché si sa che le questioni di Fede sono di difficile accettazione, ci credi o non ci credi; comunque, ogni religione ha credenze, superstizioni ed usanze da rispettare qualunque sia l’entità superiore che la ispira, Dio, AllahBuddha
Il Tempio della campana è deludente, ma è meraviglioso il panorama dall’alto della torre che evidenzia il connubio tra i metallici grattacieli ed i courtyard, le case tradizionali cinesi ad un piano e con cortile abitate da un quarto della popolazione.
Mentre scatto foto e riempo gli occhi di tanta rara bellezza, un ragazzo s’avvicina e dice che presto tutte queste vecchie catapecchie verranno rase al suolo; sempre più sono quelli che optano per caseggiati moderni, spaziosi e dotati di comforts come riscaldamento, acqua corrente, elettricità e gabinetti. Stupisco quando scopro che negli hutong non esistono gabinetti e d’inverno si usano bracieri con carbone per rendere appena sopportabile la temperatura! Ora capisco il motivo per cui i Cinesi si avviluppano come mummie e vogliono abitare in condomini moderni!
Smaniosa di vagare per gli hutong ed assetata come sempre di conoscenza, scesa dalla torre della campana mi trovo a contatto con questa realtà che certo non ha nulla a vedere con la Beijing ricreata in qualche vicolo reso signorile, come Liulichang.
M’addentro in questi hutong, ma non troppo, perché sono sola ed i vicoli sono talmente stretti da dar l’impressione d’attraversare l’interno d’una casa. Provo compassione per chi vive in questi “sentieri”, in alcuni punti stretti pochi centimetri e saturi d’odori provenienti dalle ciotole di zuppa e da chissà che altro.
Appena le viuzze s’allargano osservo biciclette cariche di cianfrusaglie, banconi di legno con appesi pezzi di carne sanguinolenta e cavoli cinesi, donne che lavano ortaggi piuttosto che mutande, bambini sorridenti che corrono dietro al pallone indossando la tuta della scuola, conducenti di risciò che mi corrono incontro per portarmi sul loro trabiccolo …
Gli odori sono intensi, i rumori forti, le grida frequenti e soprattutto le risate, ecco ciò che conquista di questa gente: vivono di nulla, in cunicoli senza riscaldamento, né acqua corrente o latrine, ma non perdono la voglia di vivere e ridere. Così, anche se di rado piango, mentre osservo questi bambini, una, poi due, tre, quattro lacrime mi rigano il volto. Mi vergogno, detesto piangere perché sinonimo di debolezza, ma al cuor non si comanda e le lacrime scendono… Perché tanta tristezza, non è da te Malini? Lo so, ma non piango per quei bambini, ma per quelle persone che conosco in Italia della mia età, più giovani o più vecchie, che hanno tutto, materialmente parlando, ma mancano del piacere più prezioso che la vita offre: la capacità di vivere, la consapevolezza della magia della vita, non hanno quel dono che questi bambini e, grazie al cielo anch’io, abbiamo ricevuto: la voglia di vivere! Ripenso a conoscenti che per apprezzare la vita ricorrono ad alcool e droghe più o meno leggere.
Vedendomi smarrita, una ragazzina s’avvicina e m’implora di non piangere e quando le chiedo se è felice, risponde: “a noi va bene così, anche se tu sei una ricca laowai e stenti a credermi, sappi che a noi non manca nulla, vogliamo la tradizione e non il progresso: la modernizzazione sta distruggendo più dell’architettura tradizionale, perché gli hutong sono la nostra anima, il nostro passato, non portateli via, per favore”. Saluto e ringrazio. Lei non sa perché, io sì.
Torno a casa e mi tornano alla mente le parole di Madre Teresa, allora apro il portafoglio e rileggo una Sua poesia, quella che più preferisco:
Ama la vita così com’è
Amala pienamente,senza pretese;
amala quando ti amano o quando ti odiano,
amala quando nessuno ti capisce,
o quando tutti ti comprendono.
Amala quando tutti ti abbandonano,
o quando ti esaltano come un re.
Amala quando ti rubano tutto,
o quando te lo regalano.
Amala quando ha senso
o quando sembra non averlo nemmeno un pò.
Amala nella piena felicità,
o nella solitudine assoluta.
Amala quando sei forte,
o quando ti senti debole.
Amala quando hai paura,
o quando hai una montagna di coraggio.
Amala non soltanto per i grandi piaceri
e le enormi soddisfazioni;
amala anche per le piccolissime gioie.
Amala seppure non ti dà ciò che potrebbe,
amala anche se non è come la vorresti.
Amala ogni volta che nasci
ed ogni volta che stai per morire.
Ma non amare mai senza amore.
Non vivere mai senza vita!



CHINA TODAY
Chi dice che i cinesi non cambiano? Quando vengono introdotte novità essi le respingono, ma quando vedono che c’è qualche cosa di buono cominciano a cambiare. Non cambiano adattandosi alle cose nuove, ma adattandole a se stessi. 
MASSIMA CINESE

Voglio visitare la Beijing moderna, fermo un taxi alla Porta Meridionale del Campus e chiedo di portarmi all’Ambasciata Italiana nella zona di Sanlitun.
Il simpatico conducente ha personalizzato la macchina foderando sedili e volante con pelliccia bianca e guida con i guanti. Durante il tragitto intavolo una discussione sulla vita moderna ed emerge che è un tipo all’antica: “un tempo, la vita consisteva nel nutrirsi, coprirsi e muoversi un po’, ma oggi… le donne si vestono sempre meno, sia d’estate che d’inverno, mai più rivedremo quei bei completi blu tutti uguali, perché oggi le femmine spendono per comprare roba d’importazione, alla moda, di marca e pensare che qui i vestiti costano poco e sono di qualità, proprio non capisco perché acquistare abiti occidentali pagandoli cento volte tanto”. Anche se trovo agghiaccianti gli abiti cinesi e adoro i nostri seducenti succinti abiti occidentali gli dò corda rispondendo “dui,dui, giusto, giusto”. Contento di trovare il mio appoggio continua sull’alimentazione e fa notare che non è più la stessa: “la diffusione dell’ipercalorico cibo occidentale ha introdotto nuove malattie come obesità, diabete ed infarto”. Poi passa alla questione delle abitazioni e domanda: “dove sono finiti quei siheyuan sotto cui vivevano contemporaneamente due o tre generazioni? Alla tv dicono che nel mondo non si è mai assistito ad un processo di trasformazione così rapido, se continua tra poco la città sarà irriconoscibile, non posso veder morire Beijing così in fretta”.
Questa volta non mi resta che annuire sinceramente, dopo tutto anch’io trovo la città rapidamente cambiata. Prende fiato e continua il monologo gesticolando, ma parla lentamente perché capisca bene: ” le macchine sono un altro problema, pensa che a Guangzhou ci sono più concessionarie che ristoranti!”, spiega che la città era piccola, le distanze brevi e percorribili in bicicletta, ma oggi la periferia si prolunga per chilometri, la gente fatica ad andare in bici e compra auto, invece ci vorrebbero trasporti pubblici più efficienti per fronteggiare l’inquinamento. Prosegue dicendo che la produzione cinese di vetture non soddisfa più la domanda e la gente compra quelle d’importazione, tanto che la Wolkswagen sta vendendo un numero spropositato di vetture!
Ricordo d’aver visto alla televisione un reportage dedicato ai nouveaux riches cinesi che mostrava i loro splendidi appartamenti da quattromila dollari al metro quadrato, le auto di lusso ed i soggiorni di lavoro in hotel a cinque stelle. A proposito di auto di lusso, le statistiche dichiarano che già nel 1988 la Mercedes-Benz esportò in Cina quattromila auto, si dice che la Ferrari voglia aprire nuove Concessionarie e che il Governo abbia acquistato dalla Cadillac trenta limousine …
Il tassista non dà tregua e continua desolato asserendo che i giovani d’oggi non s’accontentano e vogliono viaggiare, ad esempio, l’anno scorso seicentomila Cinesi visitarono Parigi.
Mi confida: “anche mio figlio vuole di più, dopo essersi recato con gli amici a Xi’an vorrebbe andare a Shanghai, ma io non ho abbastanza denaro… mio figlio quest’anno studia economia, ha passato il test d’ingresso a pieni voti, ma l’Università costa quattromila kuai l’anno e… sapessi quanti sacrifici!”
Arriviamo all’Ambasciata Italiana, lo saluto e pago, notando la nuova banconota viola da 5 kuai con la faccia di Mao s’un lato e la montagna Taishan sul retro.
Sanlitun Lu è la Beijing del nuovo millennio, considerata “la via d’oro” per i prezzi elevati degli immobili, d’altra parte è la zona delle Ambasciate e delle sontuose residenze dei diplomatici protette da garitte con soldati, è anche il “centro” dove sorgono l’ottanta per cento dei caffè frequentati e di proprietà dei residenti stranieri, qui si respira l’aria del progresso e della modernità, ci sono grattacieli, negozi sontuosi, moderni centri commerciali e belle auto con vetri azzurrati. E’ la zona che prediligo… ma Malini, non eri contraria al progresso e sostenitrice degli hutong? Infatti, di Beijing adoro anche questa più o meno pacifica convivenza tra passato e presente, critico l’annientamento completo del passato per lasciare spazio al presente ed al futuro, critico la nascita d’una Beijing uguale ad altre mille città sulla terra!

Entro nell’Ambasciata Italiana, una delle settantanove di Beijing, pare d’entrare in un carcere, perché sono perquisita da guardie in divisa con pistola; un poliziotto domanda nome, motivo della visita, se ho fissato un appuntamento ed io, sfoggiando il mio cinese, spiego che mi chiamo Malini e desidero lavorare in Cina: “sono qui perché vorrei un elenco di tutte le aziende italiane che hanno filiali in Cina”. Dopo dieci minuti di telefonate, occhiate e risatine mi consentono l’ingresso. L’edificio è moderno e si respira aria italiana. M’accoglie una ragazzina cinese che, già a conoscenza delle mie intenzioni, suggerisce l’indirizzo dell’Ice, ovvero l’Istituto che si occupa dei rapporti tra Cina ed Italia. Ringrazio, le stringo la mano e saluto calorosamente la guardia che mi dice sarcasticamente: “se decidi di lavorare qui passami a trovare qualche volta!”.
Decido d’andare all’Ice a piedi impiegando un’ora tra gli ampi viali del quartiere diplomatico.
Sanlitun ricorda le serate trascorse due anni fa con Sibille, quante nottate passate nei locali che illuminano la Jiuba Jie (Via dei Bar), una via dove migliaia di giovani di tutte le nazionalità si divertono in discoteche e pub fino all’alba.
Camminando, mi rendo conto dell’evoluzione di Beijing, molti sono intenti a mandare messaggi o rispondere a cellulari con suonerie polifoniche, ovunque vedo grattacieli, auto private, ampi viali ed immensi negozi con grandi insegne di compagnie straniere, Fiat, Motorola, Wolkswagen, si respira l’aria della nuova Cina, quella che i giovani sognano e gli anziani detestano.
Arrivata davanti all’Ufficio dell’Ice, salgo al trentesimo piano e faccio il primo colloquio di lavoro in Cina. Mi sento donna ormai… sto diventando donna! La sera consulto l’elenco delle più di cento aziende italiane che hanno aperto uffici di rappresentanza in Cina, mando una copia del mio curriculum vitae via email e poi poco prima d’addormentarmi chiamo i genitori e Danny. Sono fieri di me!


AMELIA E LUNA
Quang-tze pescava sulla riva d’un fiume, quando due dignitari gli dissero che il re di C’u desiderava che entrasse nell’amministrazione dello stato. Quang-tze rispose: “Nello stato C’u deve esserci una tartaruga sacra morta da tre millenni. Che cosa preferirebbe quella tartaruga: vedere onorato il suo guscio superstite, oppure trascinare viva la coda nel fango?”. I dignitari si pronunciarono per la seconda ipotesi. “Allora andatevene, signori miei, io voglio trascinare la coda nel fango, adesso”. 
MASSIMA CINESE

Jintian shang ke, oggi inizia la scuola e tutte le mattine sono a lezione per quattro ore, per cui le giornate non sono più dedicate all’esplorazione, ma concentrate sullo studio.
I compagni di classe sono in prevalenza Giapponesi, Indonesiani, Coreani, Singaporesi e Cantonesi; stringo amicizia con una ragazza di Osaka, Tani Guchi Hisa, di cui Tani Guchi è il cognome che in Giappone come in Cina viene posto prima del nome. Non sapendo una parola di giapponese e lei d’italiano, discorriamo in cinese. E’ timida, cerco di metterla a suo agio tessendo le lodi della cucina giapponese, “è davvero deliziosa la tempura, per non parlare di sashimi e sushi“, sorride ancora quando le confesso d’essere una patita di Lupin, Conan e Dragon Ball. La invito a pranzare con me, voglio scoprire qualcosa della Radice del Sole, ma Hisa è una Giapponese a tutti gli effetti, fredda, riservata e terribilmente formale, per cui scoprirò solo che in Giappone si guida a sinistra e non esistono le parolacce…! Conclusione: con Hisa non uscirò più!
Più loquace invece è il giapponese Hiroshi, in Cina già da un anno per apprendere la lingua e lavorare col padre a Shanghai. Hiroshi è di buona famiglia, gentile ed educato, un bel ragazzo con occhi piccoli, bella corporatura e sorriso accattivante; è felice di lasciare il Giappone, terra che prima definisce “distruttrice di foreste tropicali, trafficante di avorio e cacciatrice di balene” e poi ironizzando “patria della mafia yakuzamanga, karaoke, karatè, sakè, ikebana (arte di disporre i fiori), panchinko (sorta di flipper verticale),tatami (stuoia di paglia), futon (materasso), origami (arte di piegare la carta) e treni superveloci Shinkansen che costano come un aereo e sono più lenti del TGV francese… ed ancora terra di terremoti, pornografia, esami scolastici più difficili del mondo e love hotels frequentati soprattutto da coppie sposate che cercano l’intimità che non hanno a casa dove, aldilà delle pareti di mezzo centimetro, ci sono nonni, zii e bambini”. Affranto Hiroshi critica il suo Popolo anche per aver copiato le idee altrui: hanno importato agricoltura e metallurgia dalla Corea, scienza, scrittura e tecnologia dalla Cina, metodi militari tedeschi, tecniche navali inglesi e sistema educativo americano. Ironizza persino sulla malsana abitudine dei Giapponesi d’ubriacarsi ogni notte con i collega, prima di rincasare, sulla società basata sul gruppo e non sull’individuo, dove una volta concordata una strategia nessuno la mette in discussione o se ne lamenta ed ovviamente non evita di criticare le donne che pagano il conto al ristorante, si coprono di cerone bianco, corrono a passettini e non accavallano le gambe.
Il mio compagno di banco è Sun, un ragazzo coreano di Seul, timido ma di mentalità meno conservatrice dei suoi connazionali. Contento scopre che sono una fan d’un cantante coreano del momento e mi regala una quantità di cd coreani che ancora conservo in qualche armadio di casa.
Una delle prime mattine di scuola domando a Sun il motivo per cui in Corea s’aggiunge un anno all’età d’una persona, ad esempio, anche lui è nato nell’anno della Pecora (1979), ma invece d’avere ventitré anni come me, ne dichiara ventiquattro; divertito esclama: “in Corea, i bambini appena nati non hanno zero anni, bensì uno, perché noi contiamo anche i mesi trascorsi all’interno del ventre materno!”.

Le giornate trascorrono velocemente, di giorno studio, scrivo le emozioni nel diario e mando e-mails a famiglia e fidanzato che iniziano a mancarmi, trascorro le serate a chiacchierare con qualche amico al Blablabar oppure davanti alla televisione guardando stupide telenovele per esercitare la lingua ed imparare nuovi termini, leggo anche riviste bilingua, come China Daily o Beijing Review.
Questa volta, a differenza di due anni fa, non vado quasi mai in discoteca perché sono seriamente intenzionata a far fruttare questi due mesi e non voglio solo imparare alla perfezione questa lingua, ma capire la gente. Il mio motto si rifà a quei proverbi cinesi: “vedere con i propri occhi è meglio che leggere mille libri… chi non si dedica agli studi da giovane si pentirà della propria ignoranza da vecchio… per uno studioso ogni nuova parola vale più di mille chili d’oro”.
Impronto quindi le giornate all’apprendimento, ma purtroppo non riesco a rintracciare Vivian, cerco allora qualche studentessa che frequenta corsi d’italiano all’interno della mia Università: un giorno vado di fronte alla classe della Professoressa che insegna italiano e quando suona la campanella entro nell’aula e spiego la mia situazione in buon cinese, o almeno così mi sembra: “sono italiana, resterò a Beijing fino al 23 Gennaio, mi piacerebbe studiare con alcuni di voi, io v’insegno l’italiano e voi il cinese”. Subito, due ragazze s’avvicinano e sorridendo m’invitano a pranzo, si chiamano Xiamin e Han Bing. Loro saranno le mie yuban con cui studio tutti i pomeriggi per un paio d’ore.
Come Vivian, anche loro hanno un nome occidentale, italiano nel loro caso, la ventitreenne Xiamin si chiama Amelia, viene da Wenzhou nello Zhejiang la provincia più piccola della Nazione, mentre Han Bing, sposata da due anni ed originaria di Shenyang nello Liaoning, si fa chiamare Luna.
Con loro mi diverto assai, sono dolci e carine con i loro capelli lisci, lunghi e neri. Qui non esistono teste ricce, né leggermente ondulate, bionde, è soprattutto rosse, “in Cina solo le streghe hanno capelli ricci e color fuoco” esclama Amelia. Allora io l’anno scorso ero una strega…
Spesso andiamo a far shopping, usciamo a cena e vediamo film cinesi sedute sul letto di camera mia.
Una sera mi portano in un piccolo ristorante per gustare la Marmitta Mongola (Hot Pot). Amelia puntualizza: “in realtà è un piatto pechinese, ma Beijing come capitale di frontiera ha avuto molto a che fare con i Mongoli ed è quindi probabile che la ricetta originale venga dalle steppe”.
Ma che cos’è la Marmitta Mongola, un tempo cucinata negli elmi dei guerrieri? E’ una marmitta in rame colma d’acqua tenuta in ebollizione da un braciere alimentato con carbone di legna posto in mezzo alla tavola; alla maniera della fondue bourguignonnemetto nell’acqua, servendomi delle lunghe bacchette in ferro, tutto quello che trovo eccetto la carne ed una volta cotto condisco con una salsina cremosa ricavata dalle arachidi. Essendo diventata vegetariana per il timore di mangiare una zampa di cane o scimmia, prego Amelia d’ordinare non solo carne, ma anche qualcosa come cipolle, funghi cinesi, spaghetti di soia, tofu, patate dolci, foglie di lattuga ed il celebre cavolo cinese.
Mentre “gustiamo” queste prelibatezze, (alla fine non è disgustosa) cerco di scoprire qualche segreto della società cinese e di punto in bianco domando: “ma lo sapete che in Italia il servizio militare è obbligatorio… qui in Cina come funziona?”. Addentando un bel pezzo di rognone, Luna spiega che un tempo anche da loro era obbligatorio, ma oggi lo Stato chiama solo un certo numero di persone che sono libere d’accettare o meno.
Terminiamo la cena con una grassa risata perché ironicamente domando: “come fate ad avere i capelli neri anche a cent’anni?”, Lun con le lacrime agli occhi per le risa, spiega che ovviamente è una questione genetica e con tono saggio aggiunge: “…per lo stesso motivo, noi Cinesi abbiamo la pelle gialla e gli occhi a mandorla”.
Gli orientali mi piacciono anche per la loro ingenuità! Mal comune mezzo gaudio! Anche in Italia sono criticata per questa mia caratteristica che però io considero un pregio: almeno sono genuina, schietta e sincera! Dopo tutto anche Madre Teresa lo scrisse in una Sua poesia “essere schietta e sincera ti rende vulnerabile, non importa sii schietta e sincera!”.


PRIMO INCONTRO CON IL MIO FUDAO LAOSHI
Un giorno un uomo bussò alla porta e disse al padrone di casa affacciatosi alla finestra: “Scendi, ti devo comunicare una cosa importante!” Il padrone di casa scese e si sentì chiedere l’elemosina, allora fece salire il povero che congedò subito senza dargli nulla. Il mendicante, deluso ed irritato, chiese perché lo aveva fatto salire ed il padrone di casa rispose: “E tu, perché mi hai fatto scendere?”
MASSIMA CINESE

Il fudao laoshi è un professore che aiuta gli studenti ad imparare la lingua e conoscere la Cina “entrando”, per quanto possibile, nella testa dei Cinesi.
Il mio fudao laoshi si fa chiamare Bill, è un brav’uomo sulla quarantina che per venti kuai all’ora mi permette di conversare e soprattutto risponde alle mie innumerevoli domande. Non è Pechinese, ma viene da Hainan, la splendida isola a sud di Hong Kong che attira per il clima tropicale, “in inverno ci sono venti gradi e la temperatura media è di venticinque” precisa Bill. La latitudine è la stessa delle Hawaii, il mare è altrettanto trasparente, non mancano spiagge di sabbia fine e bianchissima con palme e molti alberghi ben attrezzati che spuntano come funghi a ridosso delle baie più belle come la Yalong Bay di Sanya, “questi hotel non inquinano la natura, come succede nei vostri Caraibi, ecco la differenza” dice Bill soddisfatto. (Nel 2004 mi recherò a Hainan con i miei genitori e mio fratello, Bill ha ragione l’isola, e soprattutto Sanya, è un sogno: le Hawaii degli anni cinquanta, non ancora schiave del turismo di massa, ma autentici paradisi sulla terra!)
Muovendo velocemente le mani come volesse cancellare quanto detto prima, m’informa che sull’isola non fu sempre paradiso: “un tempo era chiamata Porta dell’Inferno perché ci vivevano gli esiliati dall’Impero e, fino a pochi anni fa, era anche priva di collegamenti regolari col continente e popolata solo da minoranze etniche, i Li in particolare che vivevano di pesca, caccia e duro lavoro nei campi, in sostanza era “un’isola vergine”. Prosegue la descrizione dell’amata terra svelando che non fu un luogo felice neanche durante la seconda guerra mondiale, perché subì bombardamenti, fu invasa dai Giapponesi ai quali deve brutti ricordi e fu poi coinvolta nella guerra del Vietnam.
Come se non bastasse Hainan è molto vicina alle contese isole Spratly e Paracel tanto che, dalla spiaggia di Yalong, si vedono spesso incrociare le navi della vicina base militare e di tanto in tanto persino qualche sommergibile.
Ma oggi Hainan è un paradiso terrestre dove potrei farmi una vita, soprattutto nel sud dell’isola ricco di turismo.
Bill che sembra leggere nella mia mente m’informa che l’isola è un pozzo d’oro dal 1988 perché, terminato il secolare isolamento, divenne addirittura zona economica speciale (SEZ = Special Economic Zone) cioè porto franco.
Da allora attira investimenti soprattutto nel campo turistico, ma sfrutta anche enormi piantagioni di cocco da cui si ricava il celebre latte usato anche per cucinare.
Bill ha uno spiccato senso per il bussiness per cui continua a descrivermi l’isola soffermandosi sugli aspetti di marketing; scopro così che Haikou (il capoluogo della provincia) è anche un centro d’affari ed industriale di merito ove hanno uffici molte compagnie internazionali. Assumendo un’espressione divertita esclama: “Hainan è un vero paradiso perché gli appartamenti sono a buon prezzo, se nella capitale con diecimila kuai compri un alloggio d’una sola stanza, ad Hainan ne trovi uno di tre stanze con vista mare. Non è magnifico? “. Mi fa anche notare come il clima mite consenta risparmi su riscaldamento e vestiario. “Sarebbe un paradiso per te che odi gli inverni rigidi e vorresti vivere in costume da bagno tutto l’anno, pensaci, ti posso ospitare e trovare un lavoro… c’è bisogno di personale che parla cinese e lingue europee. Magari potresti aprire un ristorante o un centro velico o un albergo, non sei tu che vuoi lasciare l’Italia?”. Iniziando a fantasticare s’una mia vita nella Porta dell’Inferno m’informo sui salari: “scusa, laoshi(maestro), se gli alloggi sono così economici, anche gli stipendi lo sono”, “brava, hai capito che in Cina come nel resto del mondo i salari sono proporzionati al costo della vita; a Beijing un lavoratore medio guadagna seimila kuai al mese, ad Haikou solo mille”. Sogghignando esclama: “ad Hong Kong, la città capitalista per eccellenza, gli stipendi minimi ammontano a diecimila kuai al mese, ma per vivere se ne spendono novemilanovecentonovantanove!”.
Mentre sorseggio altro tè verde, Bill m’informa anche che l’isola è sempre più frequentata da stranieri e non solo più dalla middle-class cinese che, tra l’altro, non capisce cosa ci vada a fare visto che teme l’abbronzatura e preferisce stare in piscina o passeggiare sul lungomare proteggendosi con ombrellini.
Spiega che oltre Haikou molte altre zone meritano una visita, Wenchang ad esempio, una cittadina di mare rinomata per lunghe spiagge, giunche e palme da cocco, ma anche patria delle sorelle Soong Meiling e Qiling, mogli di Chiang Kaishek e Sun Yatsen.
L’elenco continua con Xinlong famosa per l’abbondante produzione di caffè, Xincun dove vive la minoranza etnica dei Danjia e Nanwan Houdao, la preferita da Bill: “ti piacerà, è possibile dar da mangiare a migliaia di scimmie che vivono libere”.
Svuota un’altra tazza di tè e dice: “visto che sembri una giovane temeraria, devi assolutamente andare a Tongzha, la capitale della prefettura autonoma delle minoranze Li e Miao, non ci sono stranieri e proprio per questo si possono vivere esperienze uniche”. Sì, sì, sì, sì, devo assolutamente andarci!
Poi si fa serio, inizia col dirmi che suo padre era un cinese nato a Beijing e trasferito ancor bambino ad Hainan dove si sposò con una bellissima donna di razza Li, sua madre. Facendo roteare nervosamente la penna e sforzandosi di nascondere la rabbia, svela che ilbusiness turistico ha portato gravi contropartite proprio nella minoranza Li; spiega che pochi sono rimasti sulle montagne a coltivare riso o raccogliere caucciù, mentre in pianura molti abitanti sono stati sfrattati dalla case a cui erano affezionati perché ritenute indecorose ed ora vivono in anonimi condomini costruiti dal governo. Inoltre, il business turistico ha agevolato corruzione, speculazione edilizia ed addirittura contrabbando d’automobili; finanziamenti, agevolazioni fiscali e libertà eccessiva hanno gradualmente generato una società corrotta, ecco qual’è oggi la debolezza dell’isola.
Cambiando argomento e dopo aver sorseggiato altro tè, osserva: “ci sono Cinesi e Cinesi, quelli del Sud e quelli del Nord, ho sentito dire che anche da voi è così, e che i meridionali hanno poca voglia di lavorare!”. Spiego che ritengo la gente del Sud gioviale, ma meno attiva per motivi di clima, quella del Nord spesso infelice ed irascibile ma più frenetica, forse influenzata dal clima opposto. Riguardo alle differenze tra Nord e Sud, dice che il Fiume Yangzi li definisce in Cina e che a differenza dell’Italia il Sud è più attivo, influenzato forse dalle zone “porto franco”.
Poi asserisce che i Cinesi del Nord sono più calorosi e sinceri e per meglio chiarire il concetto mi riporta l’esempio di due amici, uno Pechinese e l’altro Cantonese, assicurando di fidarsi ciecamente solo del primo.
Soddisfatto di risvegliare così vivo interesse continua il discorso, anzi monologo: “come da voi in Europa anche le abitudini a tavola sono differenti, al Sud si mangia verso le sette, mentre al Nord un’ora prima, le pietanze sono condite e grasse al Nord, ipocaloriche e piccanti al Sud; e poi ai “nordici” piace pasteggiare a birra e grappa… d’altra parte d’inverno fa così freddo che in qualche modo devono pur scaldarsi!”.
All’improvviso cita un proverbio famoso ai tempi della guerra civile tra Nazionalisti e Comunisti: “un figlio che entra nell’esercito dà lustro alla famiglia, mentre uno che scappa ad Hong Kong fa vergognare tutti”, poi lascia qualche secondo per approfondire il significato ed esclama: “questo vale al Nord, ove un figlio che entra nell’esercito è motivo d’orgoglio, ma al sud nessuno vuole un parente che perde tempo a fare il militare”; infatti, al Sud la gente pensa solo al denaro tanto che vale il detto “il tempo è denaro!”.
Con quell’aria seria ed orgogliosa che caratterizza il suo carattere, Bill è attento ad ogni mio interesse e si sofferma su un altro aspetto. “Non basta distinguere i Cinesi in settentrionali e meridionali, ma almeno in tre razze: Pechinesi, Cantonesi e Shanghaiesi, perché Beijing è il centro politico, Shanghai quello finanziario e Canton quello commerciale”. Per farmi capire racconta: “una sera vado a cena con tre amici, uno originario della Capitale, l’altro di Shanghai e l’altro di Canton; il Shanghaiese, conosciuto per la sua taccagneria, accetta l’invito solo dopo essersi assicurato di non dover pagare più di quanto ha mangiato, il Cantonese dice “oggi siete miei ospiti a patto che domani sia io il vostro”, il Pechinese è altruista e poco calcolatore, tanto che offre la cena a tutti”.
Guarda l’ora e s’innervosisce “oh no, sono già le quattro, me lo dovevi dire che era terminata l’ora, devo scappare”.

DONNE, OLTRE LE GAMBE C’E’ DI PIU’
Un predicatore salì sul pulpito e chiese agli spettatori se sapevano di che cosa volesse parlare. Alla risposta negativa, dichiarò che non vedendo scopo al suo parlare se ne sarebbe andato e così fece. Una seconda volta rivolse la stessa domanda ed alla risposta affermativa replicò che la predica era perfettamente inutile. Ma la terza volta gli spettatori si prepararono la risposta. Infatti dissero: “Alcuni di noi lo sanno, altri no!”. Si sentirono replicare: “Benissimo, quelli che sanno lo dicano a quelli che non sanno!”.
MASSIME CINESI

Bill arriva trafelato al secondo appuntamento, ordina la solita tazza di tè verde, che si farà riempire altre quattro volte, appoggia la valigetta sul tavolo e si scusa per essere fuggito il giorno precedente: “dovevo scappare, avevo un appuntamento con una vecchia amica con cui ogni tanto esco, ma sono arrivato mezz’ora in ritardo e lei se n’era già andata; l’ho chiamata sul cellulare e non ha risposto, ho ricomposto il numero ed una voce maschile mi ha detto di non rompere, proprio non vi capisco, voi donne siete davvero birichine; anche voi, femmine Occidentali, siete così complesse e cattive?”.
Sorrido, come spiegare ad un uomo cinese il “pianeta donna occidentale”?
Gli dico che la differenza tra donne orientali ed occidentali deriva soprattutto dalla nostra maggior indipendenza economica e psicologica.
Bill m’interrompe per svelare quei pochi segreti che conosce sulle “malafemmena“.
Con una buffa espressione, arricciando gli occhi e storcendo la bocca, inizia a descrivermi la condizione di forte dipendenza in cui si trova la donna cinese: “noi uomini non dobbiamo solo offrire la cena alle nostre compagne, ma anche mantenerle in tutto e per tutto”; per contro, le donne si devono adattare a chi le mantiene rispettando l’antico detto cinese: “se sei sposata con un pollo obbedisci al pollo, se sei sposata con un cane obbedisci al cane”.
Pur con idee maschiliste, Bill è comunque obiettivo ed illustra in modo chiaro ed esauriente la posizione della donna all’interno della società cinese. Come buona parte dei Cinesi, crede nel vecchio detto zhong nan qing nu secondo cui l’uomo è più pesante e, quindi, più importante della donna. Seppur molti anni sono passati da quando nascere femmina era una disgrazia, ancor oggi la donna è considerata inferiore all’uomo e forse, in Cina come in Giappone e negli Stati Arabi, ancora per molto lo sarà.
Bill è contrario alle sempre più frequenti famiglie dove marito e moglie dividono equamente i lavori domestici, secondo lui la donna deve restare a casa per guardare i bambini, fare le pulizie e cucinare. Il tatuaggio che ho sul polso rispecchia questa realtà, è l’ideogramma della donna posizionato sotto il tetto (immagine della casa): la donna in casa diventa quindi simbolo di serenità e calma!
Non oso proferire parola, preferisco lasciarlo parlare, voglio capire fin dove può arrivare una mente cinese di sesso maschile!
Espone allora alcuni fatti che vedono la donna relegata negli inferi della società cinese: “qui sono davvero poche le Cinesi che esercitano professioni d’una certa rilevanza, anzi nessuna può essere dirigente d’azienda, né ricoprire cariche politiche come quella di Presidente o Primo Ministro e più semplicemente sono poche le femmine che studiano medicina all’università, perché una volta laureate possono al massimo fare le infermiere”. Non soddisfatta m’informo se nel Paese ci siano almeno delle psicologhe, ma Bill scoppia in una fragorosa risata e sogghignando osserva: “è davvero buffo che in Occidente la gente vada a discutere di problemi personali con un dottore che conosce appena, per di più femmina, qui non esistono gli psicologi”.
Incuriosito dal mondo della medicina occidentale, Bill s’informa sulla chirurgia plastica, ha sentito dire che molte donne dell’ovest ricorrono ad essa per apparire più belle.
Al mio cenno d’assenso, indignato esclama: “è davvero vergognoso, dunque voi laowai siete proprio ricchi se avete denaro da spendere in queste sciocchezze… e tu cosa ti sei rifatta?”, rispondo che non ho rifatto nulla, ma ho un’amica che si è ritoccata la bocca ed un’altra i seni; stupito dice: “l’importante è essere veri, belli dentro, una brutta donna non diventerà bella cambiando qualcosa di sé”.
Stupisce ancor più apprendendo che alcune si gonfiano le labbra, forse perché ai Cinesi piacciono le donne con labbra filiformi.
Beve del tè, si tira i capelli indietro e cerca d’assumere un’aria di superiorità, poi esclama: “in Cina, soprattutto ad Hong Kong, la gente che ha subito qualche operazione di tipo plastico non può diventare un personaggio dello spettacolo!” In Italia è l’esatto contrario: rare star sono “vere” dalla testa ai piedi.
Silenzio, Bill è assorto nei suoi pensieri, forse pensa alla donna dell’appuntamento di ieri, cerco allora di riportarlo alla realtà supplicandolo di descrivermi qualche altro aspetto delle donne. Con aria ancora sognante e forse scocciata, perché lo tempesto di domande, afferma: “è solo questione di dipendenza, la donna non deve avere una propria disponibilità economica, deve dipendere dall’uomo in tutto e per tutto”. Ci siamo, ora è chiara la ragione per cui la donna cinese non può esercitare professioni che permettono d’arricchirsi o comunque guadagnare un cospicuo stipendio.
Ahimè, temo che molti Cinesi ragionino così o quanto meno credano al detto: “le donne hanno i capelli lunghi ed intelligenza corta”.
Tutto ciò spaventa, come posso in quanto donna fare carriera in un Paese dove sono disprezzata?! Pur femminista non proferisco parola, temo che nulla e nessuno possa fargli cambiare opinione.

Il pomeriggio seguente Bill arriva con leggero ritardo e, serio come mai l’ho visto, annuncia il tema da discutere: l’amore in Cina. Incuriosita l’ascolto. Bill dà inizio al monologo citando una frase ricorrente tra le masse: “ri jiu sheng qing” che tradotta diventa “con il passare del tempo nascono i sentimenti”, a conferma che in Cina il sessanta per cento dei matrimoni non sono ispirati all’amore, ma a convenienze economiche; leggo s’un giornale: “le donne che s’innamorano in genere non hanno una vita felice, perché gli uomini desiderano solo una femmina per il proprio piacere, i mariti vogliono una moglie per badare alla casa ed ai fornelli e gli anziani una nuora per assicurarsi una discendenza, nessuno è ispirato all’amore”. Insomma, concordano con l’Avvocato Agnelli quando disse: “solo le cameriere s’innamorano!”.
Bill racconta che un suo amico trentenne è alla ricerca d’una compagna ed anche i genitori lo aiutano ricorrendo ad annunci sui giornali e nelle agenzie matrimoniali. Squallido davvero che due estranei, dopo aver letto un’inserzione, si diano appuntamento in un anonimo locale, ma Bill spiega che se nasce una leggera attrazione si sposano, d’altra parte conferma: “non è necessario amare per sposarsi, l’importante è disporre d’una stabilità economica che permette di condurre una vita decorosa e serena, all’uomo interessa avere al proprio fianco una donna possibilmente bella, una femmina che gli dia un maschio per continuare la stirpe, mentre ciò che interessa alla donna è solo il portafoglio, tanto è vero che sono rare le donne che amano i poveri”. Tutte balle… io voglio innamorarmi “come una cameriera”, voglio amare perché se innamorarsi viene spontaneo e non costa fatica, ad amare invece s’impara! Finora, forse, sono solo stata innamorata, ma mi auguro d’incontrare qualcuno d’amare davvero, perché non c’è cosa più bella del volere il bene dell’altro senza secondi fini!
Il caro fudao laoshi assume di nuovo l’atteggiamento nervoso, sorseggia del tè, fa roteare la matita tra le dita ed il volto diventa rosso, temo che qualcosa lo turbi, poi con tono dimesso si confida e parla d’una sventurata storia d’amore: “frequentavo ancora l’Università quando ad una festa conobbi una bella Pechinese di nome Mimi, alta, prosperosa, occhi magnetici, capelli lisci lunghi e neri, quella sera ci baciammo e fidanzammo, ma dopo un anno scoprii che mi tradiva, da mesi aveva una relazione clandestina con il suo capoufficio dieci anni più vecchio di lei, d’altra parte come poteva immaginare una vita con me, ero solo un universitario di umili origini, che garanzie offrivo?”.
Questa fu la sola donna che amò, ciò nonostante non protestò per l’infedeltà, ma rispose all’affronto con la stessa moneta, ogni giorno sceglieva una “donnina” con cui trascorrere la notte.
Sono sconcertata da tutto ciò, lo trovo quanto meno stupido, ma al cuor non si comanda…


A TUTTA BIRRA VERSO IL PROGRESSO
Quando un pesce nuota, continua a nuotare e l’acqua non ha fine. Quando un uccello vola, continua a volare e il cielo non ha fine. Mai pesce nuotò fuori dall’acqua, né uccello volò fuori dal cielo. Quando hanno bisogno di poca acqua o di poco cielo, ne usano poco, quando ne hanno bisogno di molto, ne usano molto.
Così li usano tutte e due godendo della perfetta libertà.
MASSIMA ZEN

Secondo Bill, i Cinesi moderni minimizzano le tradizioni. Per esempio non nutrono più interesse per il fengshui (l’arte della geomanzia), né danno più importanza a certe festività: “siamo troppo indaffarati a costruire la Nuova Cina e non abbiamo tempo per andare a pregare nei templi, mangiare yuebing alla Festa di Metà Autunno e fabbricare lanterne rosse per la Festa della Lanterna”.
Peccato, non pensavo fosse possibile cancellare cinquemila anni di storia in così poco tempo!
Bill cerca di farmi capire che queste festività non si celebrano, ma si usano per altri scopi: “sono un’occasione per rilassarsi e godersi la vacanza stando tranquilli all’interno delle case, guardando la televisione, giocando a mahjong e chiacchierando tra amici, mentre da voi sono anche sfruttate per stimolare il commercio, pensa ai regali di Natale ed alle uova di Pasqua italiane”. Come dargli torto? Purtroppo anche da noi ormai pochi conoscono o ricordano il significato di queste festività religiose. Ahimè anch’io faccio parte di questo gruppo: ammetto d’attendere con ansia il “ponte” dei Santi piuttosto che dell’Immacolata per andare via e rilassarmi… l’unico momento che ancora sento davvero magico è il Natale, ovviamente non per Babbo Natale e neppure perché la Cafoscari è chiusa!
Bill dice che sempre più contadini, emigrati in città, rinunciano a tornare al paese durante le feste per il costo del viaggio: è il caso di Cheng Zhenhao, un suo amico carpentiere, nativo dello Henan, che da anni lavora a Shanghai e riceve un salario di quaranta kuaial giorno. Diversamente la pensa il suo amico Ni Jing, nativo dell’Anhui, che lavora in un’impresa di pulizie a Beijing e spende i guadagni degli ultimi mesi per ritornare al paese, perché il regalo più grande che può fare ai figli è tornare da loro per l’anno nuovo. Bill dice che questa è una rara eccezione: con l’alzarsi del tenore di vita, molti approfittano delle vacanze per concedersi viaggi di piacere, dentro e fuori la Cina. Secondo statistiche trovate su internet scopro che lo scorso 2002 furono più di quindici milioni i viaggiatori cinesi che si recarono all’estero e per il 2020 i turisti cinesi saranno i più numerosi nel mondo! Bizzarro, se penso agli anni Ottanta quando un Cinese aveva poche possibilità di viaggiare e lasciava la Nazione solo per viaggi di lavoro organizzati dall’unità politica.
Bill evidenzia il processo di modernizzazione cinese: “la Cina è uno Stato in via di sviluppo che vuole raggiungere e superare le potenze occidentali; troppo spesso voi laowai credete che in Cina s’utilizzino prodotti tecnologici d’importazione, sbagliate, noi abbiamo già tutto e siamo in grado di produrre tutto”.
Commetto l’errore di fargli notare che, seppure i Cinesi utilizzino un gran numero di cellulari, i principali fornitori sono tuttavia stranieri, lo stesso vale per le automobili e per molti prodotti tecnologici o cosmetici.
Il suo volto s’oscura, “sbagli, cellulari, automobili, frigoriferi televisori, gel per i capelli e via dicendo conservano il nome straniero, ma sono quasi interamente prodotti in Cina da esperti lavoratori, hai mai sentito parlare di joint venture? Per esempio, la carrozzeria e gli interni delle migliori marche occidentali sono “made in China“, mentre solo parti del motore sono importate, insomma siamo noi che esportiamo tecnologia e voi ci mettete solo il nome. E’ orgoglioso di far parte d’una Nazione che raggiunge il successo a ritmi daguinness dei primati ed esclama: “è solo questione di tempo poi la Cina conquisterà il mondo”. Non ha tutti i torti, infatti la sera prima al telegiornale, avevano annunciato che il prodotto interno lordo cinese è ormai pari a quello francese!
Sempre più entusiasta Bill esclama: “non basta, cara la mia Malini, anche il reddito delle famiglie ha raggiunto un invidiabile traguardo, mille dollari all’anno pro-capite, poca cosa se confrontato ai redditi dei vostri Paesi, ma enorme se paragonato ai 791 dollari del ‘99 e 848 del 2000″.
Ora sono certa, il mio futuro è in Cina!


NATALE PECHINESE
Mi considerano pazzo perché non voglio vendere i miei giorni in cambio di oro.
E io considero pazzi loro perché pensano che i miei giorni abbiano un prezzo.

K. GIBRAN


Il tempo passa e scende la neve su Beijing che tutta bianca pare ancor più magica e misteriosa.
Nevica da sei giorni, l’aria è finalmente respirabile, i tetti e le strade sono coperti dalla candida coltre, ma i Pechinesi continuano la loro vita mentre folle di uomini spalano, le biciclette sfrecciano senza temere di scivolare, i bambini giocano con le palle di neve, gli studenti Coreani e Giapponesi si rincorrono per il Campus, fanno pupazzi, cadono come marionette e lasciano emergere il loro lato infantile.
Con la neve e Dicembre arriva l’atteso Natale, ma qui non è che una farsa, perché i Cinesi non sanno chi sia Gesù Bambino e Bill lo conferma: “non ho mai capito l’utilità del Natale, noi Cinesi lo associamo all’immagine di Babbo Natale, non a quella di Gesù”.
Spiego a Bill che in Occidente Babbo Natale è chiamato Santa Claus, secondo un’antica leggenda tedesca del milleseicento, resa famosa dallo scrittore Americano Washington Irving che chiamò Saint Nicholas il protagonista delle sue storie; in realtà, il Saint Nicholas di origine turca, patrono dei bambini e delle donne non sposate, fu vescovo nel quinto secolo e nella storia di Irving si reca nelle case alla vigilia di Natale per lasciare regali ai bambini che si sono comportati bene.
Domani è Natale, la città è immobilizzata, ci sono auto, bici e tricicli ovunque, i negozi sono saturi di gente alla ricerca di regali anche inutili, i ristoranti hanno i tavoli prenotati da una settimana, i giovani si mettono in testa dei cappelli rossi, mentre i cellulari suonano jingle bells… Mao si rivolterebbe nella tomba se vedesse la Beijing capitalista d’oggi!
Contro voglia, perché ho una tosse che mi squassa i polmoni e preferirei non uscire, alcuni amici mi convincono a festeggiare il Bianco Natale in un ristorante messicano nella zona diplomatica di Beijing, ma è un’impresa eroica raggiungere Sanlitun per gli ingorghi, il gelo e la confusione. Ingenuamente fermiamo un taxi alla Porta Meridionale dell’Università e percorriamo duecento metri in mezz’ora, solo le biciclette riescono a sgattaiolare tra i varchi, non resta quindi che optare per l’odiata metropolitana, ma la situazione non migliora, la gente sembra impazzita, corre da una parte all’altra dei binari, spingono come arieti per entrare nelle carrozze affollatissime dove si respira la solita puzza.
Dopo due ore di spintoni e geloni ai piedi raggiungiamo il ristorante e pregusto una bella fajitas vegetariana con tanto guacamole… dopo un mese di schifezze orientali mi sembra di rinascere!
Scherziamo e chiacchieriamo, finchè con la pancia piena e tanta nostalgia ritorniamo al Campus, ma aspettiamo tre quarti d’ora prima di trovare un taxi libero.
Nonostante tutto mi sono divertita, ma la mia voce è quasi impercettibile, visto che la tosse sta divorando anche quella piccola parte di polmoni ancora sana! Sarei restata volentieri nella cameretta a guardare la televisione, rimpinzandomi di sushi e tempura… per di più domani devo andare a scuola!




BUON ANNO, MI MANCHERAI FAMIGLIA WANG
Un giorno un ladro svaligiò una casa. Il padrone raccolse i pochi oggetti rimasti, corse dietro al ladro e fece per entrare nella casa di questi. Di fronte allo stupore del ladro il padrone chiese: “Non ci siamo forse scambiati le case?”.
MASSIMA CINESE

Dopo il tanto atteso Natale, arriva Capodanno, ricorrenza che personalmente detesto per quell’obbligo di divertirsi a tutti i costi; due anni fa festeggiai l’anno nuovo in Piazza Tiananmen, quest’anno trascorro la famosa notte in modo deprimente, un po’ anche per la tosse che non mi dà pace: sola, mangio spaghetti precotti guardando una soap-opera alla televisione ed alle undici vado a dormire pensando al pranzo dell’indomani a casa della cara famigliola Wang, la stessa che m’ospitò nel 2000. Non aspetto neppure la mezzanotte “cinese”, ma metto la sveglia alle sei di mattina per festeggiare lo scoccare del nuovo anno in Italia!
Puntuali, alle nove e trenta, Rong e suo marito (si sono sposati) vengono a prendermi, vorrei baciarli ma in Cina sarebbe un affronto, quindi mi limito a stringer loro la mano, felice di rivedere la piccola amica diventata ormai donna. Vivono in una casa tutta loro, ma non possiedono ancora un’auto, “il taxi è più economico d’una vettura propria e la benzina è cara”, spiega Rong; quindi, raggiungiamo col taxi l’appartamento dove abitano il baba e la mama di Rong; quando li rivedo faccio fatica a trattenere la commozione, per cui mi distraggo togliendo le scarpe ed indossando le solite pantofole “da concubina” e porgo un piccolo dono che ricevono inchinandosi, ma non scartano. Infatti, il mio fudao laoshi spiegherà che il donatore potrebbe offendersi davanti a tanta impazienza, lo stesso accade in occasione di matrimoni o feste di compleanno dove i doni vengono raggruppati per essere scartati in un secondo tempo; peccato, reputo interessante vedere l’espressione della persona mentre guarda il regalo.
A parte questo primo disappunto, la giornata scorre bene forse perché ora riesco a comunicare facilmente e loro non sono obbligati a ripetere le frasi all’infinito. Seduti sul divano sorseggiamo del tè al gelsomino e parliamo dell’Italia ove Rong e Ying sono stati in luna di miele, un viaggio di cui vanno fieri: “in passato potevamo lasciare la Cina solo se l’unità di lavoro lo decideva per motivi professionali, ma oggi chi ha soldi può andare dove vuole”. Iniziano esaltando le nostre città: “sono così ordinate e pulite, non una cartaccia per terra e nessun odore nei bus o nei ristoranti!”. Poi, parlando degli Italiani, raccontano di una sera a cena con un amico cinese (fa l’interprete) e con alcuni colleghi italiani: “è incredibile, dopo poche parole ci hanno svelato i loro affari di cuore, argomenti che secondo noi sono assolutamente riservati… ci sono anche sembrati indecisi, perché discutevano ore per decidere dove andare a cena o scegliere il film… poi è scocciante la mancanza di puntualità, pensa che una sera abbiamo atteso un collega per mezz’ora!”.
Resto in silenzio, hanno ragione, ma l’elenco dei nostri difetti non è terminato. Domando a Rong come vede i ragazzi italiani, la risposta è immediata: “huahuagonzi (playboy), seppur maritati o fidanzati si prendono molta confidenza con voi donne, vi mettono le mani sulle spalle, vi baciano sulle guance quando v’incontrano e sedete spesso sulle loro ginocchia… in Cina era ed è diverso, il contatto fisico era bandito dall’etichetta cinese fino al quarto secolo a.c. quando Mencio disse: “che un uomo ed una donna non si tocchino le mani quando danno e ricevono, è l’etichetta”.
Pensandoci bene in effetti non vedo fidanzati scambiarsi tenerezze in pubblico, anche i bambini si comportano in modo differente ed il rapporto con i genitori sembra distaccato e severo, non ho mai visto una mamma tenere in braccio il figlio o fargli le coccole. A proposito, Ying ricorda che non sta bene baciare i bambini se non quando sono molto piccoli; un suo amico che ha due figlie, di dieci ed otto anni, non le bacia per evitare imbarazzi, ma ogni notte entra nella loro stanza per spegnere la luce e le sfiora con le labbra senza che se ne accorgano.
Sempre Ying spiega che il “bacio” è una faccenda delicata che richiede spiegazione: ridendo dice che era considerato parte dell’atto sessuale, quindi non si poteva dare in pubblico, tanto che molti viaggiatori dei secoli scorsi pensavano fosse un gesto sconosciuto, mentre i Cinesi dal canto loro credevano che le donne straniere fossero tutte prostitute! Beh, forse non hanno tutti i torti i Cinesi a pensarla così, anch’io detesto baciare ed essere baciata in pubblico ed ovviamente m’infastidiscono quelli che si sbaciucchiano tutto il tempo a tavola o per strada… un po’ “cinese dentro” allora lo sono!
A proposito di sesso, all’epoca Tang molti testi Taoisti sottolineavano la necessità del sesso per una vita sana e longeva, in quanto scaricava la tensione e regolava la circolazione sanguigna! L’uomo, sostengono i Taoisti, è ricco di Yang, ma per alimentare l’energia vitale ha bisogno di Yin, di conseguenza il rapporto sessuale deve essere vario e frequente; ecco uno dei motivi per cui gli Imperatori avevano centinaia di concubine!
Questa volta interviene imbarazzata la silenziosa moglie del Signor Wang: “mia trisnonna era una concubina, povera donna si doveva fasciare i piedi… mai sentito parlare dei “gigli dorati di otto centimetri” (in-lian)? Pensa che questa usanza fu introdotta nel Paese più di mille anni fa!”. Annuisco e chiedo d’approfondire l’argomento, allora la Signora Wang racconta che l’usanza di fasciare i piedi delle donne per deformarli incurvandoli ed impedendone la crescita è durata fino al 1917!
I piedi della trisnonna erano stati fasciati quando aveva solo due anni, dapprima sua madre le aveva avvolto una pezza di stoffa di sei metri, le aveva piegato le dita sotto la pianta, tranne l’alluce, poi aveva usato una grossa pietra per frantumare il collo del piede, la povera bambina urlò tanto che la madre fu costretta a ficcarle un cencio in bocca, era anche svenuta più volte. All’epoca erano molte le bambine vittime di questa pratica e diventate adulte non toglievano le fasciature perché i piedi avrebbero ripreso a crescere! Incredibile!
Sempre più incuriosita, domando la ragione di tale tortura. Semplice: “si riteneva che i piedi grandi fossero antiestetici, quasi un disonore”. Entrando nel dettaglio spiega che i “gigli dorati” erano considerati una delle parti più erotiche del corpo, non si potevano scoprire neanche durante l’atto sessuale e le donne che potevano permetterselo s’infilavano pantofole di velluto per tenerli nascosti. La Signora Wang informa che gli uomini trovavano eccitante l’andatura delle donne su quei minuscoli piedi. “Si muoveva come un tenero virgulto di salice alla brezza primaverile”, per usare l’espressione tradizionale degli intenditori di bellezza dell’epoca.
All’improvviso il Signor Wang fa un cenno a sua moglie che smette di parlare, è evidente che non bisogna mettere in risalto l’aspetto dei piedi fasciati dando un’immagine criticabile della Cina!
Dopo qualche attimo d’imbarazzante silenzio, Ying prende la parola e ritorna a parlare dell’Italia citando le file di macchine parcheggiate sul bordo delle strade, inusuali in Cina, dove le poche auto private sono tenute ben protette nei garage.
Rong è rimasta colpita nel vedere Roma deserta in Agosto, con finestre chiuse e serrande abbassate; già, in Cina le ferie estive non esistono e fino a poco tempo fa si lavorava tutto l’anno, Sabato e Domenica compresi!
A ben pensarci Beijing è sempre animata, dalle quattro di mattina fino a tarda notte si vedono per strada spazzini, operai, gente che cammina ed i supermercati sono aperti fino a tardi, tutti i giorni (Domenica compresa).
I Cinesi stupiscono anche per i cani al guinzaglio, in Cina ci sono pochissimi cani e, soprattutto, non si portano al guinzaglio, ma finiscono in padella.
Rong confida che vorrebbe tenere un cane in casa, magari un pastore tedesco, ma in Cina è costoso, ogni anno bisogna pagare una tassa d’iscrizione di circa seicento euro più duecento euro per ogni anno di vita della bestia; così Rong ha dovuto accantonare il sogno e attenderà che i tempi cambino, d’altra parte tante cose sono mutate nel giro di pochi anni.
Suo marito osserva ridendo che una delle tante conseguenze della politica del figlio unico è proprio l’aumento di animali domestici, non cani e criceti, ma pesci, scimmie, uccelli e soprattutto grilli…
Vedendomi sbigottita spiega che in Cina ogni dinastia stampava un manuale sul come allevare, addestrare, curare i grilli, come farli cantare e persino combattere (grilli gladiatori), si crede tutt’oggi siano le reincarnazioni d’eroi del passato. I grilli gladiatori alimentano scommesse clandestine affrontandosi nell’arena (un vaso tondo dalle pareti di venti centimetri); notando l’interesse che suscitano tali racconti, il Signor Wang ricorda la leggenda d’un bambino che s’uccise per reincarnarsi in un grillo e salvare così il padre che aveva perso quello prezioso d’un alto magistrato!
Dopo la parentesi sui grilli, ritorniamo a parlare dell’Italia e domando: “in definitiva, gli Italiani vi piacciono o no?”. Sorridono “alla cinese” e Ying prende la parola: “credo che gli Italiani siano il popolo più simpatico ed affascinate, siete galanti, cortesi e generosi”; Rong riconosce che gli uomini sono educati, spesso profumati, vestiti con abiti impeccabili, soliti aprire la porta alle signore e sul busi giovani cedono il posto agli anziani.
Penso sia facile sembrare dei gentleman ai Cinesi che, pur essendo formali e cortesi, sputano, digeriscono e sorbiscono la zuppa sonoramente, si vestono come capita, odiano i profumi, si lavano quando non ne possono fare a meno, considerano il gentil sesso inferiore e sovente non lo rispettano.
Parlando della cucina, ricordo quanto fu difficile abituarmi ai loro cibi ed alle bacchette, per cui domando un giudizio sul mangiare occidentale con forchetta e coltello. Rong scoppia a ridere pensando al disagio provato nel mangiare gli spaghetti con la forchetta e nel tagliare la carne di quelle enormi bistecche alla fiorentina.
Adesso mi è chiaro il motivo per cui in Cina sono abituati a mangiare la carne tagliata in piccoli bocconi, non solo perché hanno le bacchette, ma perché la carne, meno saporita della nostra, s’impregna meglio di sugo e diventa gustosa.
Chiedo come trovano la nostra cucina e m’accorgo di metterli in imbarazzo, non sanno come dire che la odiano, Ying cerca d’affrontare la questione alla lontana e cita l’aspetto fastidioso dell’assenza della kaishui, l’acqua calda che i Cinesi bevono in grande quantità, sia in estate che inverno.
Ripongo la domanda per sapere che cosa pensano degli spaghetti e della nostra pizza, questa volta è Rong a svincolare su altri piatti: “ho riscontrato difficoltà nel mangiare formaggi e salumi, eccezione per i formaggi freschi che ricordano il nostro tofu, formaggio ricavato dalla soia”.
Si diffonde ancora un grande imbarazzo, tutti pensano qualcosa ma non la vogliono dire, si schiariscono la gola o versano del tè, poi Ying sbotta: “siamo rimasti scandalizzati dai prezzi, l’Italia è carissima, dovete essere proprio ricchi per spendere cinquanta o centokuai per un misero piatto di spaghetti, in Cina una porzione di miantiao costa tre kuai (0,3 euro)!”.
All’ora di pranzo ci sediamo a tavola e come due anni fa il Signor Wang m’invita a mangiare un po’ di tutto, ma come al solito nulla è di mio gradimento, a parte i jiaozi, perché il maiale in agrodolce è nauseabondo, le verdure salate, le uova indigeste, le patate piccanti e la zuppa insipida, ciò nonostante assaggio tutto, DEVO!
Dopo esserci abbuffati a dovere, torniamo a parlare seduti sul divano ed il discorso prende una svolta politico-economica, Wang esordisce: “dall’11 dicembre 2001 la Cina è nel WTO (World Trade Organization), è una gran cosa perché d’ora in avanti i rapporti con l’Occidente saranno agevolati, ci sono però due ostacoli da superare: la lingua e la mentalità”.
C’è un attimo di silenzio, poi scherzando prendo la parola: “ci sono io che conosco il cinese ed un po’ il vostro modo di pensare, vi aiuterò…” Questo intervento suscita l’ilarità generale, poi Ying chiede: “com’è la situazione politica ed economica nel tuo Paese?”; questa volta sono io impacciata e spiego che la situazione economica è difficile perché fondata s’un artigianato poco competitivo che anziché di nicchia è diffuso, mentre la grande industria è marginale nel contributo del PIL ed in stallo, a peggiorare le cose contribuisce una politica menzoniera, demagogica e poco risolutiva, perché cela l’entità dei problemi e propone soluzioni che al momento non danno risultati a favore del benessere generale.
Sono sorpresi, evidentemente pensano che noi Italiani siamo tutti miliardari che giriamo in Ferrari e vestiamo Armani, ma il Signor Wang, che ha lavorato per anni in Italia, conferma la stagnazione economica ed il quadro avvilente non solo dei politici, ma in generale dei professionisti italiani, poi rincara la dose: “nel tuo Paese solo i figli di personaggi illustri o raccomandati emergono!”. Mi vorrà dire che in Cina non è così?!

Il discorso cade… e mentre nessuno parla una fotografia appoggiata al televisore cattura il mio sguardo, è Rong con l’abito da sposa, chiedo allora di vedere l’album del matrimonio. Entusiasti mi mostrano le immagini ed apprendo qualcos’altro del mondo cinese. Partiamo dall’abito rosso fuoco perché considerato un colore fortunato ed in grado di cacciare gli spiriti cattivi, mentre il bianco è segno di lutto in quanto colore degli abiti senza orlo un tempo indossati per accompagnare il corteo funebre.
Rong si rivolge a me: “guarda questa foto, si vede bene il mio abito, è il famoso qipao; in Cina gli abiti tradizionali da sposa sono due, al Nord s’indossa il qipao, un pezzo unico con lunghi spacchi laterali abbellito con disegni in oro ed argento raffiguranti il drago e la fenice (simboli della stabilità dell’uomo e del potere della donna), mentre al Sud ci si sposa in cheongsam in due pezzi decorati con fenici dorate e peonie”.
Già conosco il cheongsam perché di moda anche sulle passerelle italiane: bottoni sul lato destro, stretto sul torace, sancrato in vita e con maniche lunghe o corte secondo la stagione.
“E l’uomo?”, chiedo rivolgendomi a Ying che alza gli occhi al cielo: “il fulcro è la sposa, noi mariti indossiamo una giacca di seta nera sopra un completo blu scuro con draghi ricamati, però io li ho evitati perché non mi piacciono”. La cosa m’interessa per cui domando: “vi siete sposati in Chiesa, in Tempio o al Comune, in modo tradizionale o all’occidentale, avete ricevuto regali, nel Paese i matrimoni sono combinati, avete organizzato un banchetto….?”
Ying prende la parola: “in Cina fino ad una decina d’anni fa il padre era un’autorità indiscussa che decideva la vita dei figli pianificando anche i matrimoni, oggi non più”.
Scopro che il fidanzamento è valido se i due innamorati si scambiano il “certificato” contenente generalità e dati di nascita; alcuni si recano da un “sensale” per scegliere la data propizia (di solito numero pari). In passato, la sposa arrivava dall’amato seduta s’una portantina sollevata da parenti con un velo rosso che le copriva il volto. Comunque, oggi tutto ciò è raro, l’uomo deve solo aver superato i diciotto anni, mentre la donna i ventitré e, se si frequenta l’Università, non è permesso sposarsi!
Rong precisa: “questa foto ci ritrae mentre andiamo in Comune a ritirare i libretti rossi”; infatti, i futuri sposi portano vari documenti tra cui una serie di controlli medici che certificano l’assenza di malattie gravi (pena il veto al matrimonio), poi il Comune analizza il tutto e rilascia due libretti rossi che certificano il matrimonio, tutto qui; ma loro hanno solennizzato l’avvenimento il primo Giugno, la Giornata del Fanciullo, invitando amici e parenti al ristorante, dove Rong e Ying sono giunti con un’automobile decorata di fiori e sono stati accolti da un lancio di petali rossi.
Rong parla dei regali di “consuetudine”, le cosiddette “tre ruote” (orologio, bicicletta e macchina da scrivere) e “trenta gambe” (letto matrimoniale, un armadio, credenza con cinque cassetti, comodino, tavolo da pranzo e panca di legno), accenna anche ai regali degli amici più ricchi (frigorifero, stereo e televisore), alle torte del drago o fenice ed alle grandi quantità di tè come augurio di tanti discendenti quante sono le foglie, ma precisa che, sempre più spesso, si preferisce regalare le “buste rosse” contenenti denaro, così i neo-coniugi si possono comprare ciò che desiderano. Scherzando, Ying dice che da loro la lista nozze non esiste perché conoscendo i Cinesi, molti sposi metterebbero in lista regali troppo costosi lasciando a disagio gli ospiti!
Domando quali doni hanno ricevuto per le nozze e Rong guarda il padre, la piccola vive, come me, in adorazione del suo baba: “i miei genitori ci hanno regalato l’appartamento e quelli di Ying hanno provveduto ad arredarlo”.
Wang guarda l’orologio, sono le sei e la giornata giunge al termine, tutti m’accompagnano sino in strada, dove infrango le regole abbracciando Rong e stringo la mano agli altri, poi Wang dice: “Malini, qui a Beijing hai una famiglia che ti aspetta, ritorna”. Con una stretta al cuore di rara intensità, lascio la casa in cui ho trascorso splendide ore in compagnia di persone speciali, grazie famiglia Wang, ritornerò.


DOR-DOR DAL PORTO DEI PROFUMI.
Non aver cara nessuna persona, perché la perdita di chi ami è causa di dolore. Non attaccarti alle cose gradevoli, non sfuggire quelle sgradevoli, perché pena è non vedere le cose care, pena è vedere quelle sgradite. Felici noi viviamo se non possediamo nulla. Nutriamoci perciò di gioia come fanno gli dei splendenti.
MASSIMA CINESE

Domenica 19 Gennaio.
Un mese fa è iniziato il corso, domani do l’esame e tra due giorni torno in Italia, il tempo è volato, denso d’emozioni indimenticabili.
In questi ultimi giorni conosco Doris (Dor-Dor), una bella ragazza cinese nata nell’anno del Coniglio (1975), capelli corti nero lucente, volto sereno con zigomi alti, mento aguzzo, labbra sottili leggermente incurvate verso il basso, alta come me; m’osserva, poi attacca discorso dicendomi che è nata ad Hong Kong, ma nel novanta è scappata con la famiglia a Toronto perché, dopo il massacro diTiananmen, si temevano scontri tra Cinesi ed Inglesi. Ricorda la storia di Hong Kong, dal lontano 1841 quando in seguito alla Prima Guerra dell’Oppio venne ceduta agli Inglesi, all’anno in cui venne restituita sotto forma di SAR (Special Administrative Region, cioè zona autonoma) con lo slogan “one country, two systems” ovvero “una nazione con due sistemi”.
Doris e famiglia lasciarono passare gli anni difficili dal 1997 al 1999, quando Hong Kong registrò una crisi economica mai conosciuta con conseguente aumento di disoccupazione e scomparsa di turisti, poi rientrarono nell’ex colonia inglese.
Doris ama Hong Kong ed allo stesso tempo sente il richiamo della grande Cina. Sapendo che scrivo un libro mi dà informazioni: “a Hong Kong ci sono circa sei milioni d’abitanti che occupano un territorio di pochi chilometri quadrati diviso in tre aree, l’isola di Hong Kong cuore economico, la penisola di Kowloon gemella in terra ferma, costituente l’area più popolata ed i Nuovi Territori che rappresentano il restante novantuno per cento”.
Ma voglio sapere: “l’anima di Hong Kong è cinese o inglese?”. Doris, con quel sorriso misterioso che incuriosisce, dice che nulla è mutato, sul Central District dominano gli stessi grattacieli e sull’isola di Landau s’erge lo stesso Buddha, anche il fiordo di Aberdeenè sempre l’approdo di migliaia di giunche dove vive la gente che non ha casa, su Apliu Street si vendono ancora Rolex taroccati, aKweilin Street computer su misura ed a Portland Street continua il sesso facile in una sfilata di locali a luci rosse, cioè gialle, dunque Hong Kong non sarà mai una città cinese; inoltre, c’é la questione della lingua, pochi Hongkongers parlano mandarino, ma solo inglese e cantonese, tutte le indicazioni sono bilingue con caratteri tradizionali non semplificati, gli stessi fantizi utilizzati a Taiwan e non i caratteri semplificati in uso nel resto della Repubblica Popolare Cinese; in casa parliamo solo cantonese, perché mio padre non sa l’inglese e neanche il mandarino… “.
Secondo Doris, Hong Kong non é Cina, come vorrebbe in cuor suo, ma neanche Inghilterra, per cui sbotta: “non so perché qui si continua a guidare sulla sinistra, né per quale ragione Beijing permette che sui francobolli ci sia scritto Hong Kong, invece del nome cinese Xiang Gang (porto dei profumi)”, poi continua: “spiegami perché esiste il dollaro di Hong Kong che viene usato solo qui?”. In realtà, nella zona s’usano entrambe le valute perché gli astuti Hongkongers hanno capito quanto conviene tenere i piedi in due scarpe: prendere un salario capitalista a Hong Kong e spenderlo in un supermercato comunista della vicina Shenzhen dove tutto costa enormemente meno, per non parlare degli appartamenti dieci volte più economici! Poi cita un particolare che evidenzia questo “pendolarismo”: “al mattino presto i bambini cinesi vestiti con impeccabili uniformi attraversano il Ponte Luohuo per andare a scuola ad Hong Kong, qualche anno fa erano una ventina, ma oggi sono duemila”; per altro, sono in molti ad attraversare il celebre ponte, anche solo per vedere i negozi o trascorrere serate mondane nei locali trendy di Hong Kong.
Le domando anche come si vive a Hong Kong, ma non sa darmi una risposta immediata, poi guarda intorno come cercasse un’ispirazione e ripete: “money, money, soldi, soldi. Ad Hong Kong si respira l’odore del denaro, si può morire asfissiati dal profumo dei soldi, l’unico modo per sopravviverci è disporre di grandi quantità di denaro, il tenore di vita è terribilmente elevato”.
Oggi la città ha superato con successo la crisi del 1997, è ritornata un rilevante centro finanziario, un paradiso per “cambiare” denaro senza eccessivi controlli, è anche un paradiso per la moda e la vita notturna, Granville Road Hollywood Road non hanno nulla da invidiare a Rodeo Drive ed ovunque ci sono localini dove passare le serate, come bar-ristoranti all’ultimo piano dei grattacieli ed alberghi di lusso, ma… non dispone d’acqua propria ed anche elettricità, verdura, carne, pesce e latte sono carissimi, perché arrivano dalla vicina Shenzhen… decuplicati di prezzo!
Shenzhen piace a Doris che comincia a raccontare della sua nascita dando enfasi ad ogni parola: “una ventina d’anni fa Deng Xiaoping (leader della Cina post-maoista) decise di costruire una metropoli a Shenzhen per due motivi: far concorrenza alla capitalista Hong Kong e dirottare nel sud abitanti in eccesso da altre regioni”; poi cita un detto cinese: “se vuoi un alveare, pianta un fiore e le api arriveranno da sole”, ispirandosi ad esso Deng Xiaoping piantò il “fiore” a Shenzhen, definendola nel 1979 SEZ, cioè porto franco.
Doris, che ha una venerazione per il compagno Deng, non perde occasione per mettere in risalto l’astuzia del leader: “garantì esenzioni fiscali alle aziende che investivano nella zona e stipendi doppi ai Cinesi che vi si trasferivano”. E’ fiera della rapidità con cui Shenzhen si trasformò da villaggio di pescatori alla rampante metropoli odierna.
Scherzando e mostrandomi quel sorriso solare che tanto mi manca, continua: “si dice che Shenzhen faccia collezione di record, ha la borsa valori più attiva della Cina, l’aiuola di tulipani più lunga del mondo (venticinque chilometri) ed il maggior numero di monumenti “copiati”, portici corinzi, case a graticcio in stile tedesco e persino una Tour Eiffel“.
Doris assume un atteggiamento serio ed afferma: “il record più impressionante è l’aumento degli abitanti passati da ventimila a cinque milioni in pochi anni!”.
E’ evidente che Doris preferisce Shenzhen ad Hong Kong e con quell’entusiasmo tipico di noi donne nate sotto il segno dei gemelli, continua a metterne in risalto i pregi e propone addirittura d’andarci a vivere assieme.
Come tutte le città, anche Shenzhen ha inconvenienti: “essendo cresciuta troppo in fretta, deve fronteggiare la crescente criminalità e prostituzione e… non ha storia e cultura propria”.
La nostra conversazione è giunta al termine, Doris è stanca, vuole andare a dormire perché chiacchierando si sono fatte le undici e domani abbiamo l’esame; peccato, avrei continuato a chiacchierare con lei tutta la notte, anche perché sono talmente eccitata da questi racconti che so già non riuscirò a chiudere occhio un secondo!

Infatti, trascorro le due ultime notti pechinesi a meditare sulla vita. Osservando  la neve scendere fuori dalla finestra, sento un’energia che pulsa dentro il cuore… già, una volta che s’impara ad amare la vita è difficile scordarlo! In queste ore notturne, meditando sul perché e per come della vita, scopro d’essere una ragazza fortunata, non solo perchè mi hanno regalato un sogno, ma perché mi hanno svelato il mistero… e, mentre penso, apro il diario ed inizio a scrivere di getto senza pensare, per una volta non descrivo l’amore per un uomo, ma l’amore per qualcosa di magico: la felicità… sono innamorata, ma per la prima volta non c’è un ragazzo dietro… mi sento come un alpinista sulla cima dell’Everest!

La felicità consegue al bello della vita, si tratta di un’abilità individuale, non di un’eventualità: tutti sono felici se capiscono come si fa ad esserlo. Infatti, per vivere una vita felice è necessario essere capaci di godere di ciò che già si ha. La felicità non va ricercata nel futuro, ma nel presente, perché non dobbiamo dimenticare che il nostro attuale presente è il futuro che immaginavamo tempo fa. Quando alcuni dei nostri desideri sono stati realizzati, siamo forse “felici”? La risposta, sono sicura, è “no”, infatti, qualcosa ancora manca: il matrimonio, un lavoro, la carriera, la casa, la laurea, la vacanza… l’evasione dal presente, l’idealizzazione del futuro, che intanto diventa presente e la storia continua. La felicità, rimandata all’indomani, sfugge all’esistenza, nell’illusione che qualche magia, soprannaturale o proveniente da qualche misteriosa area del proprio “io” possa risvegliarsi e risolvere per incanto i problemi. Quindi, l’infelicità deriva dal non avere o non avere abbastanza, ciò che è necessario per vivere bene. Spesso si tratta di bisogni indotti dall’ambiente, da quei “persuasori” che, con logiche sottili ed ingannevoli, ci condizionano nelle scelte e nei consumi. La verità è che, se vogliamo essere felici, possiamo esserlo immediatamente, perché la felicità non è nel futuro, ma nel presente: non conta quanto abbiamo, ma quanto riusciamo a godere di quello che possediamo. E’ inutile trascorrere la vita inseguendo il successo, la fama, i soldi ed il potere: mentre lottiamo e competiamo per raggiungere tutto ciò, ci allontaniamo inevitabilmente dai nostri valori e ci rendiamo schiavi di un sistema che da noi vuole sempre più e sempre meglio. Solo concentrandoci sul “cammino” anziché sulla “meta”, allontanandoci dalla competizione e dalle illusioni coniate ad arte dagli strateghi della comunicazione, potremo ritrovare la gioia nelle piccole cose quotidiane e reimpostare la vita secondo i nostri valori. Infine, un’ultima considerazione: solo l’essere umano comprende il senso della morte, perché è nel pacchetto delle sue conoscenze, sin da quando era bambino. La consapevolezza della propria, sicura fine lo spaventa e per dimenticare questa paura tenta di esorcizzarla non pensandoci. E’ un comportamento infantile, un meccanismo di difesa basato sulla negazione. La morte esiste e dunque tanto vale tenerne conto. Se la vita deve essere breve, facciamo almeno che sia lieta e lasciamo i tormenti, le angosce, le competizioni, gli accumuli, a quelli che pensano di non dover morire mai…
Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia, chi vuole esser lieto, sia: di domani non c’è certezza!


ZAIJIAN BEIJING
In fondo gli uomini sono sempre, gli uni rispetto agli altri, chiunque essi siano, degli sconosciuti e tutte le nostre strade s’incrociano per pochi passi, conquistando la fugace parvenza della comunione, della vicinanza e dell’amicizia.
HERMAN HESSE

Zaijian Beijing, arrivederci Beijing, bada bene non è un addio, te lo prometto ed io le promesse le mantengo.
Zaijian dolce ed astuta Doris, zaijian minute amiche cinesi, zaijian scaltro fudao laoshizaijian affettuosa famiglia Wang, mi mancherete tutti, tanto.
Mi mancherete anche voi tassisti che fate domande appena siedo sui vostri bolidi, mi mancherà l’immensità e la perfezione della Città Proibita, mi mancherà l’irresistibile romanticismo del Palazzo d’Estate, il misterioso spiritualismo del Tempio Lama, l’immensità della Grande Muraglia, mi mancheranno le musiche dell’Opera di Pechino, mi mancherà il profumo del tè verde che si libra nell’aria assieme ai miei sogni.
Dunque, voglio ritornare per vivere qui due, tre, dieci anni o forse tutta la vita.
Cina, aspettami e non cambiare troppo, perché so che quando tornerò ti vedrò diversa, chi leggerà questo libro qualche tempo dopo che l’ho scritto, vi troverà descritta un Cina “d’altri tempi”… perché qui il tempo vola, ieri è oggi, oggi è già domani.
Zhongguo wo ai ni
Cina ti amo!

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