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21 ago 2011

PARTE SECONDA: VAGARE PER LA CINA



SHANGHAI

Di che religione sei? chiese Alì.
Stamattina non appartengo a nessuna religione, il mio è il Dio dei camminatori, se cammini abbastanza a lungo probabilmente non hai bisogno di nessun altro Dio.
BRUCE CHATWIN

Josh, il mio eterno viaggiatore, ripete spesso un pensiero di John Steinbeck: “le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi a fare le persone”. Ha ragione anche quando cita Sant’Agostino: “il mondo è un libro e quelli che non viaggiano ne leggono solo una pagina”.
Trascorro i primi mesi da settembre a gennaio nella Capitale per assuefarmi ad usi e costumi della nuova terra, durante le vacanze del Chunjie torno in Italia e da febbraio in poi sfrutto ogni momento di vacanza per esplorare il Paese, da sola o in dolce compagnia.
Nonostante la gioia di riabbracciare i miei cari, il momentaneo rientro in patria è difficile, triste, vissuto in attesa di tornare nella terra di Mao, le giornate sono prevedibili, banali, ma soprattutto nessuno comprende il mio stato d’animo ed io non capisco né sopporto più nessuno, è deprimente sentirsi soli proprio tra gli amici d’un tempo. Questa è la vita, il rischio che corre chi abbandona la patria per nuovi orizzonti. Ma se queste sono le regole, io certo non mi tiro indietro proprio ora e…
il 19 febbraio 2001 rientro finalmente a Beijing, nel cuore un’energia “che lingua mortal non dice”. Raramente ho provato tanta felicità, rivedo il mondo aprirsi, magico e perfetto. Ha ragione il mio saggio fratellino nel dire che la perfezione non esiste, ma ci si può andare molto vicini perché qui la mia vita pare quasi perfetta, o forse davvero lo è.
Mentre riammiro Beijing dai finestrini del taxi, il mio cuore stordito dall’euforia del momento urla di gioia e l’anima gusta inusitati sentimenti. Beijing mi sei mancata, avevo nostalgia persino di questa sgangherata sinfonia di clacson, campanellini, freni che stridono e smog che soffoca.
Una volta in stanza, osservo la mappa della Cina e consulto riviste e guide di viaggi, poi decido di partire per Shanghai senza farne parola con alcuno, neppure con Josh che torna tra una settimana dalla Tailandia e con Sibille che è ancora in Tibet . Quando parto? La mattina seguente. Perché? Perché è ora d’uscire dal guscio! Sibille è pazza, sì ma anche io non scherzo!
Mi precipito a comprare un biglietto aereo per Shanghai, non occorre vada in centro, accanto al Campus c’è un minuscolo negozio che oltre a fiori, magliette e cd pirata, vende anche biglietti aerei nazionali a buon prezzo. Decido di volare con la compagnia CAAC, sigla che significa Civil Aviation Administration of China e non China Airways Always Crash come s’ironizza.
I prezzi sono alti ma irrisori se paragonati a quelli occidentali, andata e ritorno solo mille kuai, aggiudicato, dopo tutto si vive una volta sola e poi col treno risparmierei un centinaio di kuai, ma arriverei a Shanghai una quindicina d’ore dopo!
Sono di nuovo in aria, ma il volo non è tranquillo, i numerosi vuoti d’aria mi fanno venire più che motivati sensi di colpa, se mai succedesse qualcosa nessuno sa che mi trovo qui, come sempre ho preso una decisione azzardata, al diavolo la mia natura istintiva! Per fortuna tutto si conclude bene ed atterro nella città più global della Nuova Cina, nota come Parigi d’Oriente o “città che non dorme mai”.
Come suggerisce il nome è una città di mare (shang:sopra, hai:mare) che cresce a ritmo vertiginoso, oggi conta tredici milioni di abitanti, più tre milioni di pendolari che ogni giorno arrivano dalle campagne; è divisa in due parti, l’area economica del Pudong (ad est del fiume Pu) e la città del Puxi (ad ovest).
Per i geologi fu costruita in una zona paludosa, gli storici ricordano che era un villaggio di pescatori del settecento, mentre i filosofi la descrivono come un punto d’unione tra varie ideologie in perenne mutamento ed infine i politici la commemorano per la nascita del Partito Comunista Cinese, precisamente al numero 374 di Huangpu Lu; per ironia della sorte questo quartiere (Luwan) è diventato un elegante centro di shopping, forse frutto d’investimenti americani!
M’addentro solitaria nella megalopoli, differente dalla Capitale, perché meno biciclette e più auto cambiano la voce della città ed anche i pedoni sono diversi, mostrano quell’impazienza e premura che ricorda la nostra Milano.
Riflettendosi nell’acqua del fiume, i mastodontici grattacieli producono splendidi giochi di colore e creano un’atmosfera fiabesca che stimola pensieri bizzarri: penso a questi colossi come ai nuovi castelli ed agli uomini d’affari come ai nuovi imperatori che innalzano edifici a misura evidente del proprio potere, oggi sono le multinazionali che cercano di vincere la corsa verso il cielo. In pochi anni si costruirono tre metropolitane, un nuovo aeroporto e più di cento grattacieli, tra questi l’imponente Jin Mao, un gioiello architettonico alto quattrocento metri. Come a Beijing, interi quartieri vengono distrutti per fare posto a nuovi insediamenti, una demolizione che cancella a velocità impressionante le tracce della memoria. Così disse una nota scrittrice di Shanghai: “in questi anni Novanta se chiudo gli occhi e li riapro non so più dove sono, tanto è rapida la profonda metamorfosi degli abitanti di questa città”.
Leggo s’una rivista che gli anziani, strappati dalle case stile agricolo e ricollocati in grattacieli ad altezze vertiginose, hanno paura dell’ascensore, non escono di casa, né guardano fuori! Camminando per la città col naso in sù, capisco chi rischia davvero di precipitare nel vuoto: gli “uomini-ragno” che, per quaranta kuai al giorno, lavano i vetri dei grattacieli appesi a lunghe corde e quando tira vento ondeggiano rischiando di sbattere l’uno contro l’altro.
Riemerge la disparità sociale tra i quartieri, anche qui per esempio è evidente il contrasto tra l’ordinato quartiere francese con case lussuose ed i vicoli poveri della città vecchia, come lilong ove più famiglie convivono in minuscoli appartamenti privi di comfort.
Osservando il distacco tra i pochi ricchi ed i tanti poveri penso: “non è più comunista l’America dove c’è maggior distribuzione di ricchezza?”.
La disparità sociale in Cina può raggiungere livelli estremi, è il caso di Hong Kong. Katrin, l’amica tedesca che c’è stata, garantisce che è la metropoli col maggior numero di Rolls-Royce, ma che molta gente vive ancora sulle barche (sampan), perché non può pagare l’esorbitante affitto d’un alloggio.
Nonostante la diffusa presenza di questi derelitti, non riesco a paragonare la povertà della Cina alla miseria dell’India o di alcuni stati dell’Africa, secondo me, laddove la povertà non è sentita non esiste ed i Cinesi non si sentono poveri; basta girovagare per glihutong pechinesi o i lilong shanghaiesi per rendersene conto, pur possedendo ben poco questa gente pare serena, uomini, donne, bambini e tanti anziani sorridono, un sorriso che colpisce, aperto, solare. All’inizio la Cina sembra un manicomio a cielo aperto, poi ci si abitua e s’arriva persino ad apprezzare questa gente che nella gran massa è ancor povera ed ingenua, ma non misera.
E’ vero, c’è gente che vive in catapecchie, i ceti minori lavorano sette giorni su sette, dodici ore al giorno o più, ma qui tutti hanno un lavoro, da mangiare ed un tetto sotto cui dormire, hanno ideali, tradizioni e valori. La Cina è più ricca di quel che appare, lo capiremo tra non molto!

Dall’alba al tramonto, con zaino in spalla e guida alla mano esploro questa megalopoli visitando siti turistici ed angoli tradizionali cinesi.
Visito persino la casa dove visse Sun Yat-sen, il primo Presidente della Repubblica Cinese e fondatore del Partito Nazionalista; l’atmosfera è fredda ed inospitale, la casa è arredata in modo impersonale con una quantità di oggetti inutili. Certo non mi aspettavo una White House in stile Orientale, ma un ambiente più caloroso ed accogliente per il vecchio “Dottor Sun” (era medico, intellettuale, scrittore, filosofo e perfino agronomo). Nato nella Provincia del Guandong, una delle regioni più esposte all’influenza occidentale e con una spiccata tendenza antimperialista, si trasferì a Shanghai dove rafforzò sentimenti nazionalisti; d’altra parte essendo la città in mano agli stranieri si respirava un’aria avversa ai nativi, “vietato l’ingresso ai cani ed ai Cinesi” diceva un cartello all’entrata d’un parco di Shanghai!
Lasciata questa casa-museo, m’addentro nel vivo della Shanghai moderna, la Nanjing Lu (Via Nanchino), l’arteria centrale delloshopping dove c’è di tutto;  “a Shanghai si trovano piacevoli borsette da usare anche solo una volta, costano veramente poco”, lo conferma l’affascinante Marlene Dietrich nel film “Shanghai Express“. Per non essere da meno, anch’io cado in tentazione ed acquisto una pochette che ogni tanto uso ricordando questo viaggio, ma una borsa non aiuta certo a riviverlo … come diceva Eraclito: “panta rei”, tutto passa!
Dopo l’obbligata oretta di shopping ed il giretto veloce da Prada, Gucci, Calvin Klein, Louis Vuitton su Huahai Lu, proseguo la visita della città ed ancora una volta realizzo come tutta la metropoli sia risultato d’un rapido processo di modernizzazione, osservo lo Stadio, la Piazza del Popolo con al centro l’Opera House (ricorda quella di Sydney) ed il Museo di Shanghai: sono davvero nella metropoli più moderna ed occidentale della Cina! Scatto foto all’impazzata da spedire in Italia!
Shanghai non è solo grattacieli e larghe vie tappezzate di negozi, la sua ricchezza sono i giardini, straordinario è il Giardino Bazaarcon il ponticello a zig-zag.
Preparando un esame d’arte alla Ca’ Foscari, apprendo che i giardini cinesi sono divisi in due categorie: imperiali e privati. Magnifici ed imponenti i primi, tipo il Palazzo d’Estate a Beijing, magici i secondi come il Giardino dell’Amministratore Umile a Suzhou.
Addentrandosi nel Bazaar, sorprende la vegetazione che non svolge un ruolo principale, ma lascia protagonisti l’acqua e la roccia, la prima simboleggia l’oceano e rappresenta il principio femminile Yin, la seconda è l’immagine della montagna e dello Yang; noto che l’acqua, non impiegata in fontane ma sorgenti e laghetti, aumenta la sensazione di tranquillità.
Contemplo entusiasta l’immenso parco ed osservo proprio l’acqua che riflettendo gli oggetti invita a riflessioni sulle apparenze, contribuendo, per esempio, a completare le incantevoli circonferenze formate dal semicerchio dei ponticelli e dal loro riflesso; già, fin da piccola ammiravo il Monte dei Cappuccini specchiarsi nel Po’ e fantasticavo!

Se il Bazaar colpisce, i giardini di Suzhou lasciano il segno, pare d’essere in un cosmo in miniatura, d’entrare dolcemente in un’altra dimensione, superiore a quella terrestre e perfetta in ogni aspetto.
Molti “laowai dai nasi grossi” (così ci chiamano i Cinesi) sostengono che i giardini orientali s’assomigliano l’un l’altro, “visto uno visti tutti” osserva il francese Charles, dopo essersi recato a Suzhou, lo stesso vale per i Giapponesi che visitano le nostre chiese “bellissime, ma tutte uguali!”, questo il commento di Aiko dopo esser stata in Italia.
Per me non è così, ognuno di questi giardini racchiude un messaggio che solo gli amanti di questa cultura percepiscono ed apprezzano.
Ad esempio, nel Giardino dell’Armonia e nel piccolo Giardino del Maestro dei Cestini di Suzhou, una sensazione di pace e serenità pervade corpo e anima perché qui, oltre la bellezza ed il profumo della natura, un’altra percezione manda in fibrillazione: il “suono come fonte di piacere”: i bambù sembrano piantati proprio dove il vento li agita facendo accompagnare il loro ticchettio al sussurro delle frasche, i platani sono appoggiati ai muri affinché l’acqua piovana raccolta dalle tettoie completi la sinfonia sgocciolando sulle grandi foglie. Nulla in questi giardini è casuale ed ogni dettaglio è coerente con credenze millenarie, non è quindi un caso che i giardini di Suzhou siano considerati tra i più belli della Cina e dopo averli visti si creda all’antico detto: “in Cielo c’è il paradiso e sulla terra ci sono Hangzhou e Suzhou”.

Questo primo viaggio solitario rimarrà sempre scolpito nel mio cuore, tuttavia viaggiare da soli presenta inconvenienti, come la tristezza che assale quando al termine della giornata chiudo la porta della stanza dietro di me e stanca mangio sul letto gli spaghetti precotti; non ho voglia di sedermi ad un tavolo “singolo” d’un ristorante di città.
Perdersi nella folla shanghaiese procura agitazione ed ansia, ma fa sentire vivi. E’ meraviglioso camminare per questa metropoli, mi sento parte d’un quadro ricco di colori, il verde delicato dei giardini, il grigio plumbeo del cielo, le variopinte immagini pubblicitarie, il vetro trasparente dei grattacieli, il rosso dei taxi ed il giallo dei visi cinesi. A parte qualche istante di sconforto, insomma, a me piace viaggiare in “beata solitudo, sola beatitudo”. E poi da sola entro maggiormente in contatto con l’ambiente, mi sento indipendente e, peccando di presunzione, m’illudo d’essere invincibile… certo, le barriere da superare non sono “noccioline”, oltre la lingua e la condizione da forestiera, ho solo vent’anni e trovarmi in una metropoli dove non conosco nulla e nessuno a volte spaventa.
Tra le difficoltà da superare c’è l’acquisto dei biglietti del treno per Suzhou. Sì, faccio parte di quel gruppo di persone che non riesce ad avere una visione completa d’un Paese senza aver viaggiato una volta in treno. Mezzo che in Cina riassume il modo d’essere d’un Popolo che odia o non può permettersi gli aerei. E’ impressionante la moltitudine che accalca gli sportelli, spingono ed urlano, paiono una folla d’affamati cui hanno annunciato la distribuzione dei viveri. Con forza m’intrufolo nel formicaio e dopo qualche minuto d’inferno arriva un poliziotto salvatore che, con fare cortese, m’invita ad accomodarmi allo sportello per stranieri, dove ovviamente non c’è coda e nessuno parla inglese, per cui sparo in perfetto cinese, o quasi, le parole necessarie per comprare il biglietto. Sebbene non esista la divisione in classi, si distinguono comunque quattro categorie in base al prezzo: sedile duro (ying zuo) e morbido (ruan zuo), cuccetta dura (ying ruo) e morbida (ruan ruo).
Un tempo noi laowai viaggiavamo in cabine riservate, ma oggi è permesso sedere col resto della truppa; a questo proposito e con invidia, Meili afferma che in Cina tutto ciò che è bello è per gli stranieri!
Con entusiasmo ed un pizzico d’imbarazzo mi siedo sulle “poltrone dure” (intendo risparmiare), l’unica con naso grosso ed occhi grandi. Come nei bus pechinesi, è sorprendente vedere come la gente resista stipata mentre suda, fuma, sputa ed un tizio agli altoparlanti blatera frasi su tempo e politica: completano l’opera due omoni seduti di fronte che crollano in un sonno profondo e russano pesantemente, non li sopporto, ma finalmente arrivo a Suzhou. Il tragitto è durato solo un’oretta, per fortuna!
Eccomi nella Venezia d’Oriente “millenaria”, costruita nel lontano cinquecento a.c. , particolare per i suoi duecento giardini, templi e pagode, negozi con seta a basso prezzo, ma soprattutto caratterizzata da rivi d’acqua e dal Canal Grande, con vie che scorrono sotto i ponti come a Venezia, o quasi.
Pubblicizzata e paragonata ad un “Paradiso Terrestre”, Suzhou ha l’unica pecca d’essere una delle città più visitate del Paese, quindi affollata da stranieri “mordi e fuggi” che s’accalcano a biglietterie, entrate di giardini e templi. Un mio carissimo amico di colore dice che lo stesso accade a Guilin, dove si è recato durante il Chunjie. Si è travolti dai turisti anche quando si assiste alla pesca con il cormorano: un uomo siede s’una piccola imbarcazione costituita da canne di bambù legate tra loro a mo’ di zattera, con un bastone spinge nell’acqua un cormorano con al collo un anello legato all’imbarcazione da una cima, l’animale s’immerge e ricompare qualche istante dopo con un pesce nel becco che non ingoia per l’anello e lo porge al padrone!
Divertente, forse… ma personalmente preferisco recarmi dove la popolazione autoctona non ha mai visto persone “dagli occhi grandi”. A Guizhou per esempio, zona ignorata dalle guide turistiche perché fino all’ottantadue era proibita agli stranieri… questa potrebbe essere una delle prossime mete!
In effetti sono molti i luoghi che intendo visitare nel Paese, Leshan nello Sichuan, per esempio, dove s’erge il più grande Buddha del mondo (settanta metri d’altezza), scolpito nella roccia  nel settecento d.c. da un monaco; un’amica bosniaca si reca proprio a Leshan e descrive le dimensioni impressionanti del Grande Buddha … “le orecchie sono alte sette metri e solo l’unghia dell’alluce misura un metro e sessanta centimetri!”. Stupendo, continua Jenny è anche il Buddha Sakyamuni al momento dell’entrata nel Nirvana, cioè quando il proprio essere s’unisce con l’universo in un benessere infinito, ma per entrarci bisogna eliminare il “desiderio” e vincere il dolore conducendo una vita ascetica spezzando il Samara (stacco dall’esistenza ed interruzione dalle reincarnazioni). Lo stesso vale per i Taoisti. Lao Zi nel “Daodejing” (Libro della Via e della Virtù) scrive: “riduci l’egoismo ed abbi pochi desideri”.
Tra le altre mete potenziali c’è Xichang, ignorata anch’essa dalle guide turistiche, ma caratteristica per certe minoranze etniche. Vi si reca Maliau ed al suo ritorno racconta: “gli uomini sono alti, bruni, dai tratti orientali ed indio, indossano grandi turbanti neri da cui spesso spunta una chioma che non tagliano perché sede dell’anima, i maschi portano un solo orecchino e camminano con incedere fiero che ricorda quello dei gitani, mentre i tratti delle donne sono difficili da definire, indossano gonne pieghettate ed abiti blu chiusi obliquamente sul davanti”.
Lhasa, Guilin, Guizhou, Leshan, Xichang, Chongqing, Harbin… quanti luoghi per me inesplorati, riuscirò a visitare? Come si dice da queste parti: you zhi zhe shi jing cheng, dove c’è desiderio c’è speranza.


ESERCITO DI TERRACOTTA
Più conosci meno comprendi.
DAO DE JING di LAOZI

Il venticinque aprile la mamma viene a trovarmi una seconda volta, quando il gelido inverno è finito. Sono fortunata, con lei posso girare la Cina in aereo, dormire in hotel di prima categoria, fare pranzi luculliani e concedermi ogni comfort. Siccome sono un’eccellente organizzatrice pianifico tutto, visite e serate comprese, indirizzando il viaggio prima a Xi’an nello Shaanxi, poi a Kunming nello Yunnan ed infine a Canton nel Guandong.
La mamma è una donna coraggiosa, pur sapendo i rischi che corre e le camminate che le farò fare, accetta ugualmente d’avventurarsi con me!
Eccoci dunque sedute a bordo d’un Boeing 747 a scrutare passeggeri cinesi stranamente grassi, forse frequentatori dei Mac Donald’s… ironia a parte, sembra che l’american food, oltre l’obesità, abbia introdotto malattie nuove per i Cinesi come diabete, osteoporosi ed infarti. Dopo i “panzoni”, catturano l’attenzione alcuni uomini d’affari in giacca e cravatta che con fare grossolano si dirigono ai posti di prima classe; hanno sguardi poco rassicuranti e la mia vicina di posto dice: “a giudicare dall’aspetto e dalla parlata, sembrano mafiosi che grazie a droga e prostituzione hanno fatto fortuna nello Yunnan, confinante tra Birmania e Tailandia ove certi traffici paiono diffusi e dilaga anche l’AIDS”.
La droga è una realtà cinese sin dal settimo secolo quando Arabi e Turchi introdussero in Cina il papavero, usato come medicamento fino al diciassettesimo secolo, poi diffuso come stupefacente e diventato un problema critico nel diciannovesimo secolo quando si diffuse a settori portanti della società ed a benestanti in cerca d’esperienze forti.
Per altro, l’oppio fu utilizzato dagli Inglesi come merce di scambio con il tè, proprio per indebolire le armate cinesi nelle guerre cosiddette dell’Oppio (1839-1842 la Prima e 1856-1860 la Seconda) che segnarono il declino della dinastia Qing e lo sgretolamento del sistema imperiale. Odio le guerre perché statisticamente inutili. Concordo con Xunzi, generale vissuto nel periodo delle “Primavere ed Autunni” (722-481 a.c.), quando ne “L’Arte della Guerra” asserisce che l’abilità del condottiero sta nel far arrendere i nemici senza combattere, non nel vincerli in battaglia.
Certo non la pensava così il Primo Imperatore che, passato alla storia per crudeltà e megalomania, unì il Paese per la prima volta, bruciò ogni testo precedente ed ordinò la costruzione della Grande Muraglia, del Gran Canale e del colossale esercito di terracotta scoperto nel 1974 a Xian da contadini che scavavano un pozzo. Questo Primo Imperatore era tanto ben voluto che ogni notte dormiva in un posto differente per paura d’essere assassinato e, forse per questo, appena tredicenne pensò alla costruzione della tomba cui parteciparono ben settecentomila lavoratori per trentasei lunghi anni; la riempì di migliaia di guerrieri in terracotta destinati a proteggerlo nell’aldilà e per forgiarli utilizzò enormi fornaci. Per ironia della sorte morì a soli quarantanove anni durante un viaggio alla ricerca dell’elisir di lunga vita.
La mamma ed io arriviamo ove questi seimila guerrieri di pietra a grandezza naturale s’ergono fieri da ben duemila anni; osserviamo meravigliate l’enorme esercito quasi intatto che pare pronto ad attaccare; visi squadrati, folte sopraciglia, fronti ampie, bocche dalle labbra spesse ed occhi che sembrano fissare un punto all’infinito, sembrano umani che vogliono svelare i segreti del lontano passato ed i cavalli dalle larghe narici paiono pronti per il galoppo. E’ pregevole la maestria con cui un simile esercito fu scolpito e colorato, i capelli sono dipinti con carbonella, gli abiti con pigmenti ricavati da un impasto di sangue animale e bianco d’uovo, le espressioni, le acconciature e gli abiti differiscono l’un dall’altro, fanti con tuniche fino al ginocchio, scarpe ricurve, capelli con un alto ciuffo, spade e lance, mentre i cavalieri hanno pantaloni stretti fino al ginocchio, cappello rotondo, stivali, stringono nella mano destra le redini e nella sinistra una balestra; poi ci sono le aurighe con armature, portaordini in sella, soldati semplici con spada, arcieri in piedi con mano dietro la schiena per prendere la freccia ed altri inginocchiati con la balestra puntata. I generali sono riconoscibili dalle splendide armature in tre parti con bordi ricamati di motivi floreali e dall’espressione intrepida che sembra rispecchi autorità ed esperienza.
La giovane guida fornisce tali dettagli con eccezionale entusiasmo e descrive ogni angolo del museo come solo un esperto d’arte e storia può fare. Con attenzione l’ascolto, le sue parole spalancano gli occhi come quelli d’una neonata che vede il mondo per la prima volta, così assaporo quest’opera d’arte, in silenzio, ma con una strana voglia di urlare per dimostrare l’emozione.
Come spesso capita dopo esser stata a contatto con testimonianze del passato o visto documentari su personaggi scomparsi, cado in tristi riflessioni sulla morte e sulla precarietà della vita; penso che l’esercito di terracotta continuerà ad arricchire il mondo, ma io non sarò più lì, sarò un mucchio di fango senza coscienza e memoria, parimenti penso a quanti prima assistettero a questo spettacolo, mentre ero ancora una stella in cielo o una goccia dell’oceano. Qui penso: “e se non dovessi tornare… morire lontano da casa e da chi mi ama… se non potessi rivedere anche una sola delle persone che amo?”; i dubbi potrebbero continuare all’infinito, ma ciò che conta in questo istante è che sono fortunata, felice, ho la possibilità di vedere luoghi eccezionali, vivere esperienze esaltanti, sperimentare sensazioni elettrizzanti che pochi sanno provare, apprezzare e conservare come faccio. Le parole di Madre Teresa lette da piccola riaffiorano all’improvviso nella mente: “la vita è opportunità, coglila; la vita è bellezza, ammirala; la vita è beatitudine, assaporala; la vita è un sogno, fanne realtà”.


KUNMING
La sostanza dell’uomo è la stessa del cielo e della terra. Il cielo, la terra e tutti gli esseri sono una sola cosa con me. Il cielo è mio padre, la terra è mia madre, gli uomini sono dunque miei fratelli, tutti gli esseri viventi sono uniti, tutto l’universo è con me un essere unico. 
MASSIMA CINESE

Un bisonte dell’Air China si libra nell’aria diretto verso lo Yunnan, la “Patria dei Profumi” per le duemila varietà di fiori coltivati e… per i traffici illeciti.
Atterrate a Kunming, ci accoglie l’atteggiamento cordiale della gente ed un’incantevole temperatura primaverile, d’altra parte siamo nella  “Città della primavera”  che, a duemila metri d’altitudine, gode d’un clima mite con inverni brevi, secchi e soleggiati.
Saliamo s’un taxi blu, non rosso come a Beijing, diretti ad un hotel del centro. Durante il tragitto ho l’impressione che anche qui convivano mondi diversi: in un quartiere vedo ampi viali alberati fiancheggiati da costruzioni moderne, mentre in uno adiacente solo case di legno che sembrano crollare da un momento all’altro. E’ il modello tipico della metropoli cinese che evolve in modo rapido e disomogeneo, con povertà e benessere che convivono…. stonando.
Più volte ho ragionato sull’arma a doppio taglio del progresso che crea e distrugge, avanza e retrocede, fa nascere e morire, vorrei che la Cina conservasse “il vecchio”, ricchezza del Paese, di Kunming in particolare dove coabitano minoranze etniche (musulmane come Yi, Hui, Miao) e rifugiati della guerra cino-vietnamita, qui dovrebbero sopravvivere i negozi destinati alla popolazione autoctona e le costruzioni tradizionali andrebbero protette come patrimonio dell’Umanità. Purtroppo non è così, quando il potere del turismo predomina i luoghi diventano teatri, le minoranze comparse e tutto diviene artefatto. Hen kexile, che peccato!
Purtroppo anche la mia Beijing si sta modernizzando e la distruzione degli hutong è un concreto esempio del potere distruttivo del progresso. Pensare che i pochi hutong rimasti sono un gioiello dell’umanità. Erano i luoghi dove abitava la maggior parte della popolazione durante le dinastie Yuan (1206-1341), Ming (1368-1628) e Qing (1644-1908): al centro sorgeva il palazzo reale (la Città Proibita), ad est ed ovest gli hutong per aristocratici e parenti, a nord e sud quelli poveri per mercanti e popolo. Ma con la dinastia Qing e l’arrivo della Repubblica, gli hutong si deteriorarono, anche per le numerose guerre civili e le frequenti invasioni straniere, più famiglie cominciarono a convivere sotto lo stesso tetto, mentre gli aristocratici passarono a costruzioni più moderne.
Insieme ai hutong in Cina stanno scomparendo anche i risciò, per lasciar posto ai tricicli; i pochi tiratori di risciò vagano per la città alla disperata ricerca di clienti guadagnando pochi kuai, a mala pena sufficienti per una ciotola di riso ed il risparmio per un nuovo paio di scarpe (le rompono facilmente).
Una volta salgo s’un risciò con Sibille, ma nevica così dopo poco, vedendo il pover’uomo rallentare per la fatica ed affondare i piedi nella neve, gli diamo qualche soldo e scendiamo perché ci fa pena, ma lui, con dolcezza che non dimentico, dice: “amici non siamo ancora arrivati!”. Il mio boy Josh mi critica: “dando loro del denaro ed usufruendo del loro servizio li aiuti a vivere, è il loro lavoro, devono pur guadagnare, no?”.
Il nocciolo della questione resta il progresso… il famigerato fazhan che gli anziani cinesi detestano!
Ascolto le idee del mio amico Tintin che come Xiao ha vissuto a lungo all’estero, a Dublino: “il moderno è bello, non i ruderi della Cina”. Tintin reputa stupende le canzonette di Taiwan ed i film americani, gli piacciono nylon, mobili di plastica, grattacieli, auto costose, hamburgercomputer, cellulari… sì certo, è normale che dopo aver scoperto il film di Spielberg, internet ed i sms poi non se ne possa fare a meno, ma per favore progredite in modo “astuto”, costruite anche qualche grattacielo e comprate BMW, ma no, non “uccidete” cinquemila anni di storia! Preferisco città dove passato e presente convivono seppure stonando, detesto città cinesi “cloni” di quelle americane!
Che disperazione, noi nostalgici non possiamo che arrenderci alla triste realtà!
Le caratteristiche viuzze di Beijing, Shanghai, Canton servono solo ad attirare stranieri che scattano fotografie e comprano odiosisouvenir; anch’io ne fui vittima, avevo dieci anni, andai a Venezia con la gita di classe e riempii la valigia di ricordini che rimasero per anni a prender polvere s’una mensola della mia stanza, l’unico sopravvissuto è una “Piazza San Marco” rinchiuso in una palla di vetro.
Venezia verrà consumata dal tempo ma contro la nostra volontà, invece molti Cinesi sono entusiasti di radere al suolo le loro vecchie città per far spazio ai grattacieli. “Se Venezia affonda tutto il mondo piange e protesta, se Beijing scompare nessuno ci fa caso”, dice un giovane urbanista francese che lavora all’Università Beida e conduce una compagna per salvare la “vecchia” Beijing.
Insomma, i vecchi quartieri verranno rasi al suolo per lasciare spazio a nuove costruzioni, a Kunming scompariranno i tradizionali negozi di fiori, le vecchiette che rifanno i tacchi delle scarpe e gli uomini seduti sui marciapiedi che giocano a majhong. Che tristezza!

Convinco la mamma a vagare senza meta per la città, con lei non posso addentrarmi negli angoli più oscuri come a Shanghai, ma sarà comunque un’avventura.
La guido nell’insolito quartiere Islamico Yi ove gli uomini portano i turbanti e le donne il velo; sembra d’essere a Kabul.
Camminiamo cercando l’Antica Moschea di Nancheng, quando la troviamo tentiamo invano di visitarla, si può entrare solo per pregare, ma è evidente che non siamo Musulmane… non abbiamo il volto coperto. Deluse, prendiamo un taxi il cui conducente Musulmano, stupendo nel sentirmi parlare cinese, inizia a chiacchierare: “i Musulmani in Cina non sono veri Musulmani, solo alcuni hanno studiato la lingua araba, gli altri parlano il mandarino, bevono tè al gelsomino, mangiano maiale e possono ricoprire le più alte cariche del Partito”. Dice che bisogna ringraziare il primo Imperatore cinese della dinastia Yuan, Kublai Khan, perché appoggiò la nascita delle prima comunità Musulmana in Cina. Pavoneggiandosi fa notare che la comunità Musulmana più vasta della terra è proprio quella cinese; infatti, sommando i fedeli di Kunming, Canton e della minoranza etnica degli Uiguri, si arriva ad un totale di quaranta milioni!
Zaijian, arrivederci, ci saluta il loquace tassista; siamo davanti al Yuantong Si, il grande complesso Buddista ambita meta di pellegrinaggi.
Visitare templi buddisti o taoisti mi dà una certa pace e sollecita pensieri sul come intendere il mistero della vita. In questo tempio penso a quel Siddharta Gautama (563-483 a.c.), uno degli ispiratori del Buddismo in India che, principe a trent’anni, decise di separarsi dal mondo perché ossessionato dall’idea di dover invecchiare e morire, si ritirò quindi a meditare e, dopo vari tentativi, raggiunse l’Illuminazione; infatti Buddha viene comunemente tradotto con l’Illuminato o “Colui che si è risvegliato”. Ricordo di aver studiato alla Ca’ Foscari che il Buddismo, suddiviso in Hinayana (Piccolo Veicolo) e Mahayana (Grande Veicolo), consente di raggiungere il Nirvana (pace dei sensi e completa separazione dai beni materiali). I filosofi buddisti insegnano a separarsi da ciò che amiamo per meglio superare questa vita e le reincarnazioni in attesa del Nirvana, in quanto l’esistenza è per loro sofferenza, con traumi come nascita, malattia, vecchiaia e morte.
Sulla base di tali cognizioni, creo una nuova scala di valori prendendo ragionevole distanza dai futili beni materiali, ma al rientro in Italia le cose si complicano, questa visione disinteressata porta ad un radicale distacco dagli amici d’un tempo. Come posso apprezzare gente che vive perlopiù per soddisfazioni legate a denaro ed altre materialità? Per parecchi anni dovrò indossare una scomoda maschera e fingere di essere quella che ero.
L’odore d’incenso e candele mi riporta alla realtà del Yuantong. Uomini e donne d’ogni età si recano qui per pregare ed il loro modo d’onorare le divinità incuriosisce più dei colori e delle strutture architettoniche; i fedeli bruciano mazzette d’incensi che portano alla testa quattro volte, poi s’inchinano oscillandole verso i quattro punti cardinali e le offrono con caramelle, denaro e frutta alla statua del Buddha od altra divinità.
Mi soffermo ad osservare chi mi sta accanto, una donna spinge a pregare due bambini che non le prestano attenzione e si divertono a bruciare gli incensi nelle “fornaci” (vasche dove vengono deposti gli incensi rimasti), mentre una signora anziana s’esibisce in evoluzioni a terra, s’inchina in direzione dei quattro punti cardinali, si sdraia e si rialza. A parte ciò che vedo, so ahimè  poco delle preghiere buddiste, anche perché i Cinesi affermano: “la religione come la politica è un argomento tabù e gli stranieri sono troppo curiosi”.
Come “brave fedeli”, la mamma ed io restiamo incantate davanti a ciò che rende unico questo Tempio: il Buddha Shakiamuniregalato ai Cinesi dal re della Tailandia. Siede imponente nella tipica posizione del Diamante (la posizione del loto), d’altra parte tutti i Buddha siedono per tradizione a gambe incrociate, con piede sinistro su coscia destra e piede destro su coscia sinistra, la spina dorsale piegata in avanti, il ventre sporgente, il deretano all’indietro, la testa alta con il mento proteso e gli occhi socchiusi.
Sono cattolica e credo in Dio ma fin da bambina le statue dei Buddha destano il mio interesse. A Beijing osservo il Buddha Maitreyadel Tempio dei Lama, scolpito in un tronco di sandalo alto diciotto metri è talmente unico che nel ‘90 entrò nel Libro dei Guinness dei Primati! Mentre l’ammiro ho l’impressione mi segua con lo sguardo, come la Gioconda al Louvre; in parte intimorisce, in parte dà un senso di protezione, incuriosiscono le mani tozze, le labbra sottili e rosse ed il sorriso magnetico che trasmette pace e dolcezza infinita. Perché i lobi degli orecchi raggiungono quasi le spalle? Forse perché in Cina i lobi grossi contraddistinguono le persone fortunate.
Il Tempio Lama è il Tempio che preferisco in Cina, ha qualcosa che conquista, forse il Buddha Maitreya dai lobi penzolanti o forse il suo oscuro passato evocato da macabre cerimonie tibetane come la Danza dei Diavoli, una solennità rappresentata da monaci con maschere terrificanti che si disputavano un pupazzo di sembianze umane, reminiscenza d’un selvaggio rito cannibalesco del lamaismo tibetano.
Sono felice, pervasa da un senso di realizzazione che durerà l’intero periodo trascorso alla ricerca della Cina d’un tempo, di oggi e di domani, tra i vicoli di Beijing, i grattacieli di Shanghai, i giardini di Suzhou, i fiori di Kunming, le biciclette di Canton e le spiagge di Qingdao… qui ritrovo me stessa e così sogno che questo viaggio non finisca mai, non svegliatemi, lasciatemi sognare ancora un po’!


GUANGZHOU
… Canton scotta come un wok bollente, la gente che ci vive si squaglia a forza di friggere o salta per tenersi in vita, per strada nessuno ti degna d’uno sguardo, nessuno guarda il cielo, tutti gli occhi sono puntato diritti in avanti, tutti corrono gridando “presto, presto” come se per loro fosse l’ultimo giorno di vita …
POLVERE ROSSA DI MA JIAN

Lasciamo la città dei fiori per raggiungere il Guangdong che, differente dal resto della Cina per dialetto e cucina (cantonese appunto), da una parte affascina per la sua ottima posizione nella zona tropicale e la vicinanza ad Hong Kong (centottantadue chilometri), dall’altra delude perché copia dell’Occidente moderno nonostante duemila anni di storia propria!
Presi i bagagli all’aereoporto andiamo in albergo e ci sistemiamo in una stanza lussuosa agli ultimi piani del grattacielo con vista incantevole sul fiume delle Perle brulicante di traghetti, battelli e piccole imbarcazioni che di notte luccicano.
Nella stanza c’è il tradizionale boiler per preparare il tè che si beve bollente anche ai tropici e non mancano neanche i thermos per potarselo appresso bello caldo… con mia madre che approva pur non essendo cantonese!
Il giorno seguente ci aggiriamo sudate per questa città afosa che non sembra trasmettere grandi emozioni. Sono le due, il sole incandescente scioglie l’asfalto e l’umidità uccide, meglio assaporare qualche specialità cantonese che non sia “cane flitto”… i Cantonesi mangiano di tutto….
Dopo un leggero pranzo (nemmeno la mamma stravede per il cibo cinese), ci rechiamo al mercato della Pace Luminosa, luogo fuori dal comune per la varietà di animali vivi e morti che generano un indescrivibile odore; ciò nonostante, è affollato da leggiadre casalinghe alla ricerca di granchi, molluschi, scarafaggi, vermi, scorpioni, tartarughe, serpenti, stelle marine, ragni, rane, salamandre, cani, gatti, procioni ed altre prelibatezze…! La mamma ovviamente rimane fuori, io invece lo visito tutto ed attacco discorso con alcuni venditori scoprendo ingredienti della medicina tradizionale come tendini di cervo, corna di daino, pelle di tigre, stomachi di pescecane e lucertole secche. “Il serpente, fritto o in zuppa, cura i reumatismi” urla uno di questi commercianti, un altro insiste per vendermi del cervello di scimmia: “…è buono, aumenta la carica sessuale!”. Ma cosa pensa, a noi ventenni certo non manca la grinta sessuale!!!!
Dopo questa scorpacciata di “bestie rare”, vaghiamo per la città in cerca di angoli caratteristici ma, per la prima volta da quando sono in Cina, mi sento meno sicura perché vedo tipi loschi. Immagino siano parte di quella popolazione fluttuante di cui tanto si sente parlare alla televisione, sono contadini arrivati dalla campagna con la speranza d’arricchirsi velocemente, forse hanno mal interpretato quanto detto dal compagno Deng Xiaoping: “arricchirsi è glorioso”. Arricchirsi? Ma la Cina non è comunista?, domando un paio di settimane prima di partire a Xiao. I tempi cambiano e negli ultimi anni il reddito pro capite dei Cantonesi è aumentato di sessanta volte e non per caso undici milioni di abitanti possiedono cinque milioni di cellulari ed una famiglia su due ha un computer! Xiao dice che se adesso Canton è la metropoli del business per eccellenza, bisogna ringraziare il compagno Deng Xiaoping che un bel giorno disse: “non importa che il gatto sia bianco o nero, l’importante è che ammazzi i topi”. Con un’acrobazia che lasciò il mondo a bocca aperta, negli anni sessanta gettò le basi per la “Nuova Cina”, sostenne l’apertura a tutti i mercati e adottò un nuovo modello economico “misto” per favorire uno sviluppo rapido e rilevante.
E così fu, i “gatti neri” Cantonesi sono oggi il banco di prova della svolta. Una giornalista così li definisce: “sembrano geneticamente modificati e programmati per arricchirsi, persone onnivore ed intraprendenti che non hanno paura di lavorare venti ore al giorno per tutto l’anno, sono talmente abili a fiutare affari che riuscirebbero a far soldi vendendo ghiaccio agli esquimesi!”.

Tra grandi e piccole cose il soggiorno in Cina mi ha fatto maturare, troppo spesso pensavo che qualcosa fosse dovuto e mi rendevo conto della sua importanza quando mancava; in Italia era normale fare colazione con un bicchiere di latte fresco e biscotti croccanti, era scontato coricarmi la sera in un letto soffice e lavarmi nella doccia con sapone profumato, ma qui nulla è scontato, ora mancano quei valori che un tempo pensavo mi spettassero di diritto, ho nostalgia persino di banali abitudini come un pezzo di pane, un caffè macchiato con latte cremoso, una pizza con formaggio filante, un piatto di pasta né collosa, né insipida, mi manca la mia cameretta, il mio comodo gabinetto “con l’asse”, l’indossare una camicia inamidata ed i telegiornali della Gruber. Mi contraddico? Sto solo maturando, dando maggior valore a certe abitudini e poi, nonostante queste “mancanze”, la Cina resta il Paese dove vorrei vivere, non per sempre, ma un paio d’anni prima di piantare le radici in Italia ed avere una famiglia!
Questi sono i pensieri che m’impediscono di prendere sonno la seconda notte che trascorro a Canton con la mamma. Beata gioventù tormentata, odio quest’innata predisposizione al complicarmi la vita ponendomi interrogativi!
Dopo una notte insonne, anche la mamma non chiude occhio a causa dell’insopportabile caldo umido, girovaghiamo per Xiajiu Lu, la strada commerciale e, su consiglio di Vivian, sostiamo davanti al White Swan, l’albergo più lussuoso di Guangzhou, spesso frequentato da giovani coppie americane con una bambina cinese nel passeggino…! Infatti, pare che a Canton nel “vendere di tutto” siano compresi i bambini o più formalmente sia la sede principale per le adozioni internazionali; per diecimila dollari si possono adottare gli avanzi della politica del figlio unico, vale a dire le femmine scartate dalle famiglie perché economicamente meno utili dei maschietti. Davvero inconcepibile: la Cina vende all’America una frazione di popolazione che non le serve!
Dopo aver girato tutto il giorno per la città, la sera ci rifocilliamo da Lucy’s, un bel ristorante dove gustiamo ottimo cibo americano,Ceasar salad con salsa thousand islands e baked potato con gustoso burro salato fuso; il ristorante si trova sull’isola Shamian Dao(isola di sabbia) collegata alla terraferma con ponti, un’area che prima di divenire concessione francese ed inglese, era una distesa di sabbia ove nel diciottesimo secolo vivevano i mercanti stranieri.
Rifletto sulla marcata barriera sociale che il popolo cinese riserva agli stranieri, ripenso all’area appena citata, al quartiere diplomatico di Sanlitun, considerato una città nella città costruita esclusivamente per noi laowai ed al Friendship Store ove l’entrata era consentita ai soli stranieri e per pagare si usavano gli FCE  (Foreign Exchange Certificate). Questo razzismo privilegiato nei nostri confronti lascia interdetti e rimarca la predisposizione cinese a sottolineare differenze positive e negative tra razze… per i Cinesi anche “la razza degli omosessuali” è da sopprimere, Xiao mi racconta che hanno cercato di “curarla” incarcerando l’interessato per un paio d’anni, sottoponendolo persino a scariche elettriche perché l’omosessuale causa disordine all’ordine sociale!
La settimana di viaggio giunge al termine e dopo un’altra notte insonne ed afosa trascorsa a riflettere (ormai da tre mesi a questa parte dormire è un optional), preparati i bagagli scendiamo nella hall per colazione. Ahimè, anche nei grandi alberghi le colazioni “cinesi” sono sprovviste di caffèlatte, brioche e cereali, ma ricche di spaghetti saltati in padella con cipolla e maiale, ravioli ripieni di carne e zuppe piccanti. Vivian spiega: “…al mattino dobbiamo subito raggiungere un equilibrio tra Yin e Yang ovvero tra frutta, verdura, carni rosse, fritti, salse …” e nel tentativo di fare l’equilibrio vi rimpinzate, aggiungo io!
Così termina questo viaggio ed il soggiorno della mamma in Cina.


VIAGGIARE IN TRENO PER QUINDICI ORE
“Un albero il cui tronco si può a malapena abbracciare nasce da un minuscolo germoglio.
Una torre alta nove piani incomincia con un mucchietto di terra.
Un viaggio di mille miglia ha inizio sotto la pianta dei tuoi piedi”.
DAO DE JING DI LAOZI

Beijing, i primi di Maggio.
No, non posso pensare di partire tra due mesi, per favore non cacciatemi dal Paradiso! Non sono la sola ad accorgermi del passare del tempo, anche il termometro percepisce l’arrivo d’una nuova estate e proprio con l’arrivo dei primi caldi Sibille ed io scappiamo con i nostri boys nella località balneare di Qingdao, nella provincia dello Shandong.
Qingdao è un sogno: molto verde con aria pulita intrisa di salsedine, l’ideale per purificare i polmoni dopo mesi passati a Beijing, la città più inquinata del pianeta, dove il novantanove per cento dei suoi abitanti è affetto da tracheite undici mesi l’anno, dove “correre al mattino è come fumare un pacchetto di sigarette” e dove la gente scende in strada con mascherine di garza sembrando un esercito di chirurghi in marcia verso la sala operatoria! La contaminazione è un grave problema per il Paese… i fatti parlano chiaro perchè le dieci metropoli più contaminate della Terra si trovano proprio in Cina!
Qingdao è meta ambita per noi laowai anche perché è la patria della miglior birra cinese, proveniente per altro da una birreria fondata dai Tedeschi che occuparono la città dal 1898 per quasi cent’anni.
Per recarsi a Qingdao ci sono due mezzi, l’aereo o il treno; scartiamo l’idea di volare per il caro biglietto e per dare una nota d’avventura al nostro viaggio, quindi optiamo per il treno scegliendo gli economici hard seat. Purtroppo il tragitto dura quindici ore e se all’andata riusciamo a viaggiare in cuccette, al ritorno trascorriamo la notte in mezzo ad una miriade di Cinesi che sputano sul pavimento e fumano senza sosta, sembriamo dei deportati. Ora critico la situazione confrontandola con i parametri europei, ma all’epoca, attratta dalla novità ed in compagnia del mio amore, ne ero entusiasta… il senno di poi!

Nella stazione centrale di Beijing attendiamo il treno che parte alle dieci di sera in una stazione pullulante di gente che con rozze maniere cerca di farsi un varco; dare spintoni è un vizio cinese, fastidioso quanto sputare per strada! Facendoci largo tra la gente saliamo sul vagone e cerchiamo i numeri dei nostri letti che, pur duri e piccoli, saranno meglio di niente; notiamo con sorpresa che le cuccette non sono divise in scompartimenti, ma posizionate ai lati d’un lungo corridoio ovviamente pieno di Cinesi che discutono ad alta voce.
Ci sistemiamo e guardiamo in giro. Ancora una volta, resto allibita da quanto mangiano, non siamo ancora partiti che si strafogano di spaghetti precotti, alghe e carni essiccate, caramelle, noccioline…
Dopo la partenza, l’addetta che distribuisce coperte e controlla i biglietti ci dà una sprezzante occhiata come volesse dirci: “…perché non prendete l’aereo voi laowai che avete i soldi?”. Forse non sa che gli studenti, anche se stranieri, sono sempre squattrinati, purtroppo!
Sono le undici, si spengono le luci, ma la gente non si calma neppure nell’oscurità e molti continuano ad imprecare contro chi si sdraia nei corridoi. Dopo un bel po’ alcuni s’addormentano e cadono in un sonno profondo come soldati al ritorno dalla battaglia. Tra il vociare delle donne che invece rimangono sveglie fino a tardi ed il russare degli uomini, riesco a prender sonno anch’io e… come una bella addormentata, il giorno seguente mi desto riposata all’una del pomeriggio, giusto in tempo per scendere dal treno a Qingdao.
Il sole è caldo e Qingdao è divina, costruita dai Tedeschi non pare neppure una città cinese. E’ caratterizzata da lunghissime spiagge, grattacieli metallici, ampi boulevard, belle macchine e ristorantini dove mangiare ottimo pesce fresco scelto vivo negli acquari, pesato e pagato prima di vederlo in tavola.
Sono nella città considerata la più ordinata e pulita della Cina, finalmente i miei polmoni respirano, di giorno la calda brezza del mar Giallo soffia tra i capelli, ma la sera la temperatura scende notevolmente; visitiamo le sei spiagge, una più bella dell’altra e mai avrei pensato d’abbronzarmi tra simpatici Cinesi. Goffi e veramente gialli di pelle, per risparmiare pochi usano il costume da bagno, la maggioranza è in mutande o pantaloni arrotolati fino alle ginocchia, mi pare d’essere in un film comico dei primi del ‘900, sono buffissimi.
L’acqua gelida come quella dell’Atlantico e sporca come il Fiume Giallo, obbliga i Cinesi amanti dello sport a nuotare all’impazzata, quelli che indossano le cuffie sono ancor più ridicoli. Mi unisco a loro, nuoto all’impazzata per ore con Sibille nella speranza di perdere quei cinque chili che abbiamo preso durante il soggiorno cinese. Ci guardano con ammirazione e curiosità, non solo perché siamo “forti”, ma soprattutto perché prima di partire ci siamo fatte i capelli rasta… la mamma non mi vedrà: prima di tornare a casa scioglierò le trecce e tornerò la Malini di sempre!

Dopo lo sport ci spaparanziamo sotto il sole e per noi laowai è facile discorrere con gente del luogo: siamo un’attrazione, forse anche per i capelli… visto che sembriamo Bob Marley in versione pallida e femminile!
Una giovane coppia s’avvicina ed il marito pone le solite domande… da dove veniamo, dove siamo diretti…, vista la nostra giovialità ci siedono accanto e cercano d’esercitare il loro povero inglese.
Dopo questa coppia, due bambine supplicano i genitori di scattare una foto ricordo con noi; la bambina più piccola appoggia la manina sulla mia, meravigliata nota la differenza di carnagione, la sua mano è proprio gialla e la mia è proprio rossa: no mi sono ustionata!
Visto che molti Cinesi chiedono il permesso di scattare una foto, anch’io immortalo alcuni volti orientali, ma loro non gradiscono, paiono sfuggenti ed imbarazzati. Passeggiando con Josh sul lungo mare, decido di fotografare un anziano che con i pochi denti rimasti regge una sigaretta, ma appena m’avvicino impreca: bu keyi bu keyi, non si può. Questo episodio m’insegna a chiedere sempre keyi bu keyi (posso)? Risulterà comunque difficile immortalare gli anziani perché nutrono astio nei riguardi dell’uomo “bianco”.

Tre giorni volano, sole, sabbia, mare, abbuffate di pesce e persino un giro in motoscafo al prezzo ben contrattato di cento kuai… perché in Cina ogni acquisto, anche banale va taojiahuanjia mercanteggiato.
E’ l’ultimo giorno, fa caldo e sono affamata, mi fermo ad una bancarella per comprare una banana, frutto “igienico” per la buccia che la protegge, ne trovo una matura per gustare il sapore zuccherino e chiedo il prezzo all’anziana donna dietro al bancone che spara una cifra esorbitante, vuole truffarmi perché sono straniera, quindi discuto mentre una folla di curiosi mi circonda, sono scioccati dal sentire una straniera che conosce lingua e prezzi, infine do la somma ridimensionata (due kuai) e me ne vado.
I Cinesi, pur sembrando cordiali e ben disposti, in realtà sono sempre pronti a fregare il prossimo soprattutto se turista, pur non lesinando fregature anche ai connazionali. Un’amica cinesina che lavora accanto all’Università viene regolarmente pagata in ritardo e con qualche ammanco, ma non si licenzia o va alla polizia perché ha solo ventitrè anni ed ha bisogno d’un lavoro part-time per pagarsi gli studi. Comunque la situazione occupazionale è migliorata, un tempo il lavoro veniva assegnato dal Partito e non era permesso fare scelte.
Purtroppo la breve vacanza a Qingdao giunge al termine ed i duri sedili del treno c’attendono. Come all’aeroporto, mezz’ora prima della partenza, ci rechiamo al gate per salire sul treno. Nella stazione ad ogni angolo c’è una guardia che dà sicurezza. Ci sediamo ai nostri posti ed osserviamo i passeggeri stanchi e tristi, forse sanno che il tragitto sarà lungo e sfibrante, alcuni reggono grossi scatoloni sulle ginocchia, sono le valigie!
C’è gran confusione, sui sedili per tre persone ce ne sono cinque, alcuni viaggiatori si ricavano uno spazio nel corridoio e tentano di dormire. Le ore passano ma non riesco a chiudere occhio, ammiro le campagne nell’oscurità e poi il cielo rossastro dell’alba, in distanza vedo le forme delle montagne con le cime tondeggianti. Ad un certo punto penso di non farcela, sono seduta da dieci ore, devo alzarmi e decido di andare alla toilette, ma non è facile scavalcare un centinaio di corpi, per cui rinuncio anche se le caviglie sono gonfie come mongolfiere! Non ho mai patito nulla del genere e ricorderò questo viaggio come il peggiore della mia vita… ma finalmente arriviamo alla stazione di Beijing ove sento il “profumo” inquinato della mia metropoli e dopo una corsa sul taxi che ci porta al Campus, alle dieci di mattina crollo come un sasso sul letto. Bonne nuit à tout le monde!


ADDIO, ANZI ARRIVEDERCI AMICA MIA
Il Maestro Zen chiese: “Chi ti ostacola?”
Il cercatore di libertà rispose: “Nessuno mi ostacola”.
Replicò il Maestro Zen: “E allora che bisogno c’è di cercare la liberazione?”
MONDO ZEN

Il mio indimenticabile soggiorno pechinese giunge al termine, cerco inutilmente di vivere con filosofia e serenità le ultime settimane, ma sono triste, mescolo pensieri piacevoli su famiglia, amici ed università con l’angoscia per la quotidianità che aspetta in agguato dietro due o tre fogli del calendario.
Se possibile, avrei preferito vivere l’ultimo mese senza saperlo, avrei così gustato ogni secondo con l’intensità e l’entusiasmo dei primi; mi rassereno un po’ ripensando alle esperienze di questi nove mesi che rimarranno appiccicate al mio cuore come magici francobolli su cartoline che non ingialliscono. Quanto visto, appreso, sentito è riposto in uno scrigno su cui tengo ben chiuso il coperchio per evitare di perdere qualche gioiello, pur sapendo che i ricordi sono tesori che nessuno può sottrarci.
“Il ricordo è l’unico paradiso dal quale non possiamo venir cacciati” scrisse Jean Paul nell’Impromptus.

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